«Un modo di trovare un’altra intensità, nell’ingurgitamento, nel cannibalismo affettuoso».
(Gruppo A/Dams, Alice disambientata)

C’è chi difende lo Stato. Esso è Uno e l’Uno è uguale per tutti, siccome le differenze si spiegano culturalmente o come percezioni diverse di un oggetto che però è sempre lo stesso. Questa Verità è studiata dalla Scienza che, grazie al suo carattere oggettivo, è puramente descrittiva e non produce alcuno scarto. L’Uno benedice il potere costituito e categorizza ciò che è diverso da sé attraverso un sistema di somiglianze e differenze specifiche, che è un po’ come dire che l’Uno è ciò che sta davvero dietro al molteplice, e soprattutto che quest’ultimo manca di qualcosa. In fondo, se la Natura è una, non ci può essere che una ontologia. I sintomi di questa presa di posizione fanno capolino un po’ ovunque, agendo attraverso il pensiero e producendo degli effetti. Un esempio è ciò che facciamo del nostro linguaggio: quello scientifico è l’unico che oggettiva la realtà, mentre quello poetico, o quello delle scienze umane, parla per metafore e, si sa, le metafore sono innocue. E poi, c’è chi sta dall’altra parte. Fuori, a contrastare attivamente questo pensiero tutto occidentale, sta la macchina da guerra della società contro lo Stato. Sia chiaro, la scelta tra una posizione o l’altra non è dettata da preferenze di sorta, ma è grave, che porta con sé conseguenze tutte politiche.

Nel breve volume L’intempestivo, ancora apparso per ombre corte e originariamente pensato come prefazione all’edizione portoghese dell’Archeologia della violenza, Eduardo Viveiros de Castro racconta di Pierre Clastres, non solo analizzandone la pratica etnografica, ma dedicandogli uno «studio d’affezione».1 Proprio per questo, Viveiros De Castro non studia tanto la coerenza interna dei discorsi dell’etnografo, né tantomeno si fa portavoce della postura ermeneutica scomoda propria di chi proponga una lettura definitiva, più ancora di quella, cioè, che lo stesso “Clastres-Autore” avrebbe fornito; questo atteggiamento pertiene, a nostro avviso, a un modo di interpretazione poco conciliabile con le posizioni filosofiche e politiche e dell’uno e dell’altro. Viveiros De Castro, invece, valuta l’effetto delle due parti, ovvero «il tipo (forma) di vita che è potenzialmente proiettata»2 dallo Stato e dalla società contro lo Stato, tradendo, sintomatologicamente, una presa di posizione a favore della seconda.

Di Clastres, Viveiros de Castro riporta che vi sono due linee interpretative generali, una fenomenologica e una deleuzo-guattariana.3 La lettura fenomenologica riformula la società contro lo Stato come una funzione politica invariante in ogni società, cui si attribuisce il ruolo di specchio per la società medesima. La sua capacità rappresentazionale testimonierebbe dell’avvenuto superamento dello stato di natura, in quanto è propria dell’essenza dell’umano la posa politica e auto-rappresentativa. Clastres, allora, amplierebbe semplicemente la definizione estensionale di politico e l’esteriorità della società contro lo Stato sarebbe solo un’illusione trascendentale, senza mettere di certo in pericolo la metafisica antropocentrica. Ne deriva, infatti, che è necessario per l’espressione dell’essenza politica dell’umano separarsi da una Natura non sociale e rappresentarla al suo interno. In questa interpretazione, contro lo Stato significa più precisamente funzione dello Stato e l’Altro è riassorbito nell’identità con il Sé. Queste considerazioni lasciano intendere che l’etnologia presupporrebbe Narciso allo specchio.4

Ma a chi preferisca un’antropologia radicalmente materialista, tocca, come Alice, attraversare lo specchio. La seconda interpretazione, quella che a una ridefinizione estensiva del concetto di politico (nel senso occidentale) ne oppone una intensiva, prende le mosse dalle pagine di Mille piani.5 Qui, a Clastres, si attribuiscono due svolte fondamentali: la società contro lo Stato è un contrasto attivo dello Stato attraverso la guerra e, secondariamente, a differenza del presupposto evoluzionistico che governa le descrizioni “stataliste”, lo Stato si sviluppa secondo un taglio netto, senza continuità. Il senso di contro che emerge da questa seconda interpretazione è dello stesso tipo oppositivo che contrappone l’apparato di Stato alla macchina da guerra nomadica. Anzitutto, la contrapposizione non è riflessiva, ma piuttosto attiva e, proprio per questo, essa si articola attraverso la guerra. Non si deve però credere che quest’ultima abbia un ruolo sociale nelle società contro lo Stato, proprio perché la «società primitiva è il fuori dello Stato».6 Non considerarla tale rivela sintomatologicamente che chi sta parlando si trova irrimediabilmente catturato nell’apparato di Stato. È solo tramite una rappresentazione, infatti, che possiamo attribuire una funzione sociale alla guerra, assoggettandola cioè a un’istituzione.

Dall’altra parte troviamo Viveiros de Castro che avvoca per la proposta di Clastres, per il quale la società contro lo Stato con la pratica della guerra genera effetti politici. Uno di questi è la castrazione dell’insorgere dell’Uno, se, si capisce, si considera che il problema dello Stato è l’ipostasi dell’Uno. In poche parole, questo significa che il contro non nasconde una simmetria enantiomorfa, ma piuttosto, una dissimmetria, dove uno dei due elementi (lo Stato) cerca di assoggettare a sé l’altro (la macchina da guerra), che tuttavia vi resiste, producendo molteplicità. È proprio dell’apparato di Stato separare il dentro e il fuori,7 mentre dentro alla macchina da guerra non ci si guarda, il suo orizzonte non è determinato dal contenuto della sua intenzionalità, quanto piuttosto dall’effetto di senso che esso provoca: un effetto di senso strategico, cioè tale da risignificare la macchina stessa come sempre eterogenea, senza lasciare il passo a facili dialettiche che fraintenderebbero il ruolo politico della guerra. Ecco perché la macchina resiste e non si lascia catturare. L’essere contrari e complementari a un tempo della macchina da guerra nomadica e dell’apparato di Stato spiega perché, a livello trascendentale, i due autori prendano le parti della macchina da guerra. Lo Stato, per il fatto stesso di essere tale, esclude l’integrazione, generando un fuori che fa dei due elementi dei contradditori. La coppia oppositiva Stato/società-contro non è del tutto simmetrica, anzi: uno è molare, l’altra molecolare, uno difende l’Uno, l’altra produce molteplice. Se ci si pensa, l’effetto dello Stato è il colonialismo, sia pratico che concettuale, mentre quello della società contro lo Stato è di difendere l’eterogeneità delle ontologie e dei concetti indigeni da quello stesso colonialismo.

Si capisce allora la difficoltà e allo stesso tempo l’importanza di questo testo, dato che, dal nostro punto di vista teorematico e occidentale è difficile restituire un’immagine pratica, un’ontologia materiale di quello che, in questa sede, chiamiamo società contro lo Stato. Patteggiando noi con lo Stato, non potremmo che raccontarne attraverso un apparato di cattura. Possiamo però ricordare che, come ci dicono Deleuze e Guattari, essa, attraverso una scienza minore si costituisce secondo un modello problematico, le cui figure sono considerate in funzione delle affezioni che la modificano (in funzione, non come funzione, è importante non cedere il passo al rappresentazionalismo).8 Sintomo della radicalità della proposta è sicuramente la trasformazione che subisce allora il linguaggio: «se l’uomo delle società primitive è sprovvisto di linguaggio poetico è perché il suo linguaggio è già in se stesso un poema naturale in cui riposa il valore delle parole».9 Intempestivo, allora, non vuol più solo dire prima o dopo il suo tempo, come suggerisce Beneduce in chiusa del volume, ma sta anche a sigillo di una parola che viene dal fuori, di una parola che ha il potere di disambientare il lettore e che non può che essere fuori tempo, poiché parla al tempo verbale del sempre-già, il tempo in cui le società contro lo Stato si pongono la storicità.10 Proprio leggendo questa parola inattuale,11 si ha l’impressione di essere presi per mano e di essere accompagnati in un luogo diverso, di essere disambientati.12 Di questa disambientazione, nel testo, emerge il senso più radicale, cioè parteggiare per chi sta contro lo Stato, senza avere la pretesa di pensare al loro posto, ma lasciando che la nostra pratica di occidentali si faccia ambigua, contradditoria, fluida. Per essere «sempre quasi in qualche altro luogo»13 alla pratica filosofica e antropologica tocca di restituire alla disambientazione il suo ruolo poetico, euristico e, su tutti, politico.

Bibliografia
D. Danowsky – E. Viveiros De Castro, Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine, nottetempo, 2017
G. Deleuze – F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Cooper&Castelvecchi, 2003
E. Melandri, La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull’analogia, il Mulino, 1968, n. ed. Quodlibet, 2004
E. Viveiros De Castro, Metafisiche cannibali. Elementi di antropologia post-strutturale, ombre corte, 2017
L’Intempestivo, ancora. Pierre Clastres di fronte allo Stato, ombre corte, 2021
E, in Stefania Consigliere (a cura di), Mondi Multipli I, Kajak Edizioni, 2014, pp. 183-203
Gruppo A/Dams, Alice disambientata. Materiali collettivi (su Alice) per un manuale di sopravvivenza, L’erba voglio, 1978, n. ed. a cura di G. Celati, Le Lettere, 2007

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Note:

1) Mutuiamo l’espressione dal titolo del meraviglioso testo di G. Celati, Studi d’affezione per amici e altri, Quodlibet, 2016.
2) E. Viveiros de Castro, E, 2014, p. 201.
3) Cfr. E. Viveiros de Castro, L’intempestivo, ancora, 2021, p. 50.
4) Il riferimento è a E. Viveiros De Castro, Metafisiche cannibali, 2017, dove l’a. delinea i movimenti di un anti-Narciso, traduzione antropologica dell’anti-Edipo deleuzo-guattariano.
5) Cfr. nello specifico 12. 1227. Trattato di nomadologia: la macchina da guerra in G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, 2003, pp. 495-594.
6) E. Viveiros de Castro, L’intempestivo, ancora, 2021, p. 18.
7) Cfr. Ivi, pp. 505 e ss.
8) Cfr. Ibidem.
9) R. Beneduce, Postfazione. Il fecondo raccolto delle eresie, in L’intempestivo, ancora, 2021, p. 127.
10) Cfr. D. Danowsky, E. Viveiros De Castro, Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine, 2017, p. 169.
11) Richiamiamo consapevolmente al senso di inattuale di Nietzsche, con la specifica inflessione che gli attribuisce Enzo Melandri nella sua definizione dell’archeologia, vedi E. Melandri, La linea e il circolo, 1968, §14.
12) Rispetto al tema della disambientazione cfr. almeno Gruppo A/Dams, Alice disambientata, 1978.
13) E. Viveiros de Castro, L’intempestivo, ancora, 2021, p. 84.

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Immagine di copertina:
Christian Tiffet, Ritratto di Pierre Clastres, illustrazione.