[Pubblichiamo il primo di tre articoli dedicati al corpo come descritto negli antichi testi indiani dei Purāṇa, tradotti qui per la prima volta in italiano da Laura Liberale, con un breve commento di Claudia Boscolo].
Il canone maschile fissato dai Purāṇa sembra ricordarci oggi che fin dai tempi più antichi le fattezze fisiche preludono a un destino. Lo stesso tipo di indicazioni, anche se meno dettagliate, si trovano per descrivere il cavaliere perfetto, i cui capelli devono essere biondi, gli occhi azzurri, le cosce forti, e nel tardo medioevo si arriva a sostenere che una incipiente calvizie rende il cavaliere ancora più perfetto, poiché dotato di saggezza.
In un’epoca come la nostra in cui si discute molto di body shaming rispetto al corpo delle donne, risulta molto interessante il fatto che dettami relativi alla fortuna nella vita in relazione alle caratteristiche del corpo umano sono fissati già nei testi più antichi dell’Induismo. C’è da chiedersi se non sia una costante della civiltà umana nella sua interezza quella di interpretare il corpo come una mappa da cui derivare informazioni relative alla dimensione metafisica dell’umano, il suo rapporto con il divino e con il destino. L’associazione di determinate caratteristiche fisiche a un ruolo sociale si trova in molte culture oltre a quella indiana (in quella africana ed europea ad esempio) e persino la malattia è interpretata in certi frangenti culturali nei modi più diversi (si veda ad esempio l’epilessia presso le civiltà nord europee dell’Età del Bronzo, dove era considerata la più potente forma di comunicazione con il divino).
Rileggere i Purāṇa significa anche prendere atto del fatto che per millenni l’uomo ha interpretato il corpo umano secondo parametri oggi largamente inaccettabili, dando il via a una tassonomia su cui si sono costruite nel tempo forme di abilismo, oggi così radicate che le sue origini si sono perse nel tempo. (Claudia Boscolo)
In quell’immenso tesoro enciclopedico che è l’antica letteratura sanscrita dei Purāṇa (alla quale mi dedico ormai da un bel po’ di anni), si trovano degli elenchi classificatori per quasi ogni genere di cosa, materiale e immateriale. Non poteva dunque mancare quella che pomposamente definisco una “antropotassonomia predittiva”, vale a dire: dimmi come sei fatto e ti dirò che destino avrai.
Destino che, in India, è sempre vincolato, ricordiamoci, al bagaglio karmico individuale, il quale determina caratteristiche psicofisiche, lunghezza e qualità della vita, vicissitudini varie.
Nascere con un determinato aspetto dipende allora da ciò che nelle esistenze precedenti è stato seminato con le parole, i pensieri e le azioni. E, allo stesso tempo (nella circolarità che unisce gli innumerevoli passati agli innumerevoli futuri), tale aspetto permette di fare qualche previsione.
Il tutto, con le risonanze lombrosiane che suscita in noi occidentali, può risultare assai colorito e perché no, divertente, se si vuole partecipare al gioco del: in che categoria rientro, io?
Si comincia con i maschi, perché ovviamente, e disgraziatamente, anche i testi letterari mettono sempre i maschi al cominciamento di qualsiasi cosa. (Laura Liberale)
Estratto da Garuḍa-purāṇa, I, 65, tradotto da Laura Liberale
Sono detti di un re quei piedi che non sudano, privi di nervi sporgenti, dal collo curvo come una tartaruga, caldi, dalla pianta morbida come l’interno di un loto, le dita unite, le unghie color rame, le caviglie nascoste, i bei talloni; di un povero: quelli storti, ruvidi, secchi e venosi, dalle unghie giallastre e le dita distaccate.
Sono detti di un re i polpacci dalla morbida peluria e le cosce robuste simili alla proboscide di un elefante; di un povero: i polpacci da volpe con un unico pelo da ogni poro.
Il fortunato ha il ginocchio senza carne; l’uomo amato dalle donne lo ha incavato e con poca carne; col ginocchio deforme, egli sarà indigente; col ginocchio carnoso, avrà un regno.
Dai grandi è detto ricco, longevo e valoroso in battaglia l’uomo col pene corto; senza soldi e senza prole, quello col pene tozzo o inclinato verso sinistra; felice, l’uomo col pene venoso.
Chi ha un solo testicolo è debole; chi ha i testicoli disuguali corre dietro alle donne; è un re quello che ha i testicoli uguali; vive cent’anni chi ha lo scroto pendulo.
Saranno re quegli uomini a cui l’urina fuoriesce verso destra; poveri quelli che la effondono a gocce; felici quelli dal getto continuo.
Sono ritenuti sfortunati quelli dallo sperma secchissimo; sono ritenuti dei re quelli il cui sperma ha il profumo di un fiore; se lo sperma ha il profumo del miele attingeranno molte ricchezze; avranno dei figli se lo sperma ha l’odore del pesce; avranno delle figlie se esso non ha odore; godranno assai se l’odore è quello di carne; saranno poveri se lo sperma ha odore salino.
Lunga vita avrà l’uomo dal coito rapido; vita breve quello dal coito prolungato.
Felici saranno quelli dai glutei carnosi; saranno dei re quelli dai glutei e dai fianchi leonini; miseri quelli dai fianchi scimmieschi; indigenti quelli dal ventre serpentino o a forma di padella; ricchi quelli dai fianchi larghi.
Dei felici è l’ombelico ampio; degli afflitti è quello infossato.
Sono fortunati gli uomini dai capezzoli non eretti; indigenti quelli che li hanno disuguali, allungati e giallognoli; sono dei re quelli che hanno il petto simmetrico, alto, massiccio, ampio e carnoso.
Povero l’uomo dal collo corto; un eroe quello col collo di bufalo; un conoscitore dei trattati dottrinali quello col collo di gazzella.
Eccellente l’ascella simile a una foglia di fico sacro, dal buon odore e i peli di gazzella.
I poveri hanno mani tozze e pelose, da scimmia; le mani eccellenti sembrano proboscidi di elefante.
Con le mani e le palme rosse come lacca, gli uomini saranno dei signori; con mani e palme gialle, saranno degli adulteri; con le unghie simili a pula, saranno impotenti.
Sarà un ricco re l’uomo col pollice color rame e recante il segno di un chicco d’orzo; col segno d’orzo alla base del pollice, avrà dei figli; col segno di un giogo o di un pesce, celebrerà dei sacrifici; col segno di un fulmine, sarà ricco; con quello della coda di pesce, sapiente.
Col mento sottile, si perderanno le ricchezze; con le labbra rosse, si diventerà re; l’eccellenza è dei denti regolari e affilati; di buon auspicio è la lingua rossa, lunga e sottile; la faccia rotonda è dei ricchi; la faccia lunga è dei miserabili; la faccia squadrata è dei peccatori, dei codardi e dei disonesti; di quanti godono pienamente sono i bei baffi; ladro è l’uomo dai baffi rossi.
Con le orecchie scarne e appiattite, egli trarrà godimento; le orecchie a lancia appartengono ai re; quelle pelose a quanti hanno vita breve; le orecchie grandi sono dei ricchi o dei re.
Felice quello che ha il naso di un pappagallo; vive assai chi ha il naso asciutto; un naso lungo è sinonimo di buona fortuna; il ladro ha il naso storto; vi sarà morte per chi ha un naso piatto; il naso curvato a destra è dei crudeli.
Con gli occhi incurvati, simili a petali di loto, gli uomini godranno della felicità; il peccatore ha verdi occhi di gatto e il malvagio li ha color del miele; i generali hanno occhi di elefante; i saggi li hanno simili al loto blu; gli occhi scuri sono degli uomini fortunati.
Una morbida pelle oleosa è di chi avrà svariati godimenti; folte e allungate sopracciglia, simili alla falce lunare sono del ricco; una fronte rozza, larga e a forma di conchiglia è dei poveri; tre linee sulla fronte sono di chi vive fino a cento anni; con quattro, si attingerà la regalità e si vivrà fino a novantacinque anni; con linee che si estendono fino ai capelli, si vivrà fino a ottant’anni; con cinque, sei, sette linee, la durata di vita sarà di cinquant’anni; di quaranta, con delle linee curve; di trenta, con linee che si estendono fino alle sopracciglia; di venti, con delle linee che curvano verso sinistra.
Con la testa a forma di parasole, un uomo sarà re; del ricco è una testa schiacciata; una testa piatta è di quello a cui morirà il padre; una testa a forma di tegame è di chi tende al peccato e sarà privo di ricchezze; appartengono ai re i capelli neri, ricci e morbidi.
In un uomo devono essere ampi: fronte, viso e petto; dritti: occhi, naso, denti, bocca, parte posteriore del collo e fianchi; corti: pene, collo, schiena e polpacci; rossi: mani, palato, labbra e unghie; allungati: braccia, denti, occhi, naso e spazio tra i capezzoli.
Nota sui Purāṇa
I Purāṇa rappresentano precipuamente gli strumenti dell’educazione religiosa delle fasce più umili della popolazione indiana (le donne e gli addetti al servizio delle classi sociali superiori, ovvero gli śūdra) escluse dall’accesso al sapere vedico.
«Tali testi dovettero cominciare a formarsi attorno ai primi secoli dell’era volgare […]. Si trattava di materiali eterogenei, tramandati oralmente da una categoria di bardi detti sūta e comprendenti narrazioni mitiche, racconti edificanti e aneddoti, strofe di intento gnomico, genealogie celesti e terrene, leggende di dèi e veggenti, storie delle origini dei luoghi santi, descrizione di santuari, di immagini sacre, di riti, voti e pratiche di pietà e celebrazione di una serie interminabile di manifestazioni della divina potenza […]» (Le letterature dell’India, a cura di G. Boccali, S. Piano, S. Sani, p. 219).
Riferimenti bibliografici
Garuḍa-purāṇa, Bombay: Veṅkaṭeśvara Mudraṇālaya, 1906 (rist. Delhi: Nag, 1984)
The Garuḍa-purāṇa, trad. a cura di un gruppo di studiosi, Ancient Indian Tradition and Mythology Series 12-14, Delhi: Motilal Banarsidass, Delhi 1978-80