«Amore non è vero che svolazza,
sta fermo e dorme invisibile nascosto
in caldo ripostiglio, il nostro corpo.
Ma quale sia precisamente il posto
finché sta fermo nessuno può saperlo,
quello che sceglie non è per tutti uguale.
Io certo non lo sveglio, però smania nel sonno
e so che adesso si è messo di traverso
proprio in quel punto dove mi fa male,
dietro la quarta vertebra dorsale».
(P. Cavalli, Pigre divinità e pigra sorte, 2006, p. 91)

Ho conosciuto Patrizia Cavalli e la sua opera come si dovrebbero conoscere, io credo, i poeti a noi contemporanei: attraverso la loro voce e presenza fisica. Forse è vero che molti poeti non sono in grado di leggere con sufficiente dignità ciò che scrivono, ma coloro che mettono la loro interiorità – rivelando ciò che è al contempo forza e debolezza – a diretto contatto con chi è capace di ascoltare, fanno un grande dono.
Sono sempre molto curiosa nel sentire un/a poeta leggere (o recitare nel caso) perché infine ciò che mi affascina realmente è la portata antropologica della poesia, direi quasi mistica o divinatoria se non avessi paura degli ideologismi falsi e fuorvianti che tali espressioni possono generare. Mi attrae quel dato inconscio o solo parzialmente consapevole che una poesia può recare, quel surplus di energia e significato che sfugge allo stesso autore e che si mette a disposizione per impreviste letture e interpretazioni.
Era un sabato sera di fine maggio del 2010, io scrivevo poesie e le celavo accuratamente da diversi anni ma, come spesso accade a chi si avvicina a questa disciplina, conoscevo ben pochi poeti contemporanei e faticavo a ricostruire una tradizione poetica che superasse gli anni Sessanta del Novecento. Con la forza della curiosità di una quasi ventiquattrenne e il timore reverenziale dell’outsider (leggasi anche della ragazza di provincia), mi recai a Modena per assistere a Poesie della fine del mondo, la due giorni che si tenne il 29 e il 30 maggio del 2010 (il nome era un riferimento alla raccolta poetica di Antonio Delfini). Doveva essere un giorno di pioggia perché l’evento previsto all’aperto in piazza XX Settembre si tenne invece al chiuso.
Quando vidi, sentii e osservai Patrizia Cavalli presentarsi e leggere i suoi testi ebbi una folgorazione: allora la poesia era anche quello, ironia filosofica e arguta, forza vettoriale che riempiva le parole apparentemente semplici e lineari di un quantum di energia che mi lasciava esterrefatta. La poesia era anche una donna che si poneva come soggetto, faceva un salto carpiato e metteva in scena il suo desiderio, la sua forza e il suo determinarsi. All’epoca ero, come spesso accade, una giovane tragica con la tendenza all’enfasi (lo sono ancora, ma con il tempo e l’età una vena di ironia sta alzando la cresta) e quel dire scanzonato ebbe, forse anche per contrasto, l’effetto di uno shock. Il lavoro da fare era immenso, quell’incontro mi ridimensionava ma allo stesso tempo apriva le porte dell’immaginazione e mi dava il coraggio di tentare. E mi diceva che ars longa vita brevis, dovevo allora darmi da fare, mettermi in ascolto e al lavoro. Del resto con l’ironia che la contraddistingueva la stessa Patrizia Cavalli raccontava come l’incontro con Elsa Morante e il suo rivolgerle dopo mesi di frequentazione la domanda indagatoria: “ma tu cosa fai?”, l’aveva condotta a rivedere, ripensare e riscrivere la sua produzione poetica prima di sottoporgliela – e sette mesi passarono.
Io quella sera, orecchie tese, occhi spalancati, tutto il corpo ricettivo, mi misi tra parentesi e mi immersi nella sua voce. Non ricordo cosa lesse, mi sembra che si parlasse di una mela in un testo, in un altro di una sciarpa, ma la memoria non mi assiste… ricordo invece come si muoveva sul palco, come presentava i suoi testi e come li leggeva, ed ero colpita dal modo in cui era in grado di dire cose anche terribili inducendo nel pubblico il riso.
In seguito, la lessi con attenzione e ripetutamente, lasciando passare grandi intervalli di tempo tra una lettura e un’altra, senza purtroppo mai studiarla ma tenendola in grande considerazione. Ogni volta che infine tornavo a lei mi sorprendeva e si rinnovavano e consolidavano le impressioni legate al mio primo incontro.
E ora in questi giorni, rileggendo la sua opera e facendo incetta di video delle sue letture, sono sempre più convinta dell’altissima qualità della sua scrittura ma soprattutto la inserisco a pieno titolo tra le madri letterarie, la annovero nella mia personale genealogia di poeta, ne riconosco l’influenza (e queste come sappiamo possono essere più o meno evidenti, scorrere in profondità e non essere immediatamente riconoscibili) ed è doveroso dirlo, perché uno dei modi per disincentivare la scrittura delle donne è anche quello di negare l’esistenza di una tradizione, non riconoscere le influenze e il dialogo che si instaura tra le autrici (sia in termini di maternità che di sororalità). A questo punto a chi storce il naso consiglio sempre la lettura di Joanna Russ, Vietato scrivere. Come soffocare la scrittura delle donne (2021), che illustra i meccanismi subdoli, diretti e indiretti attraverso i quali si ostacolano le autrici.
Ma ora mi taccio per poter ricordare Patrizia Cavalli come merita, ovvero attraverso le sue poesie di cui vi propongo una brevissima (e ahimé parziale) antologia.

«Quante tentazioni attraverso
nel percorso tra la camera
e la cucina, tra la cucina
e il cesso. Una macchia
sul muro, un pezzo di carta
caduto in terra, un bicchiere d’acqua,
un guardar dalla finestra,
ciao alla vicina,
una carezza alla gattina.
Così dimentico sempre
l’idea principale, mi perdo
per strada, mi scompongo
giorno per giorno ed è vano
tentare qualsiasi ritorno».
(P. Cavalli, Le mie poesie non cambieranno il mondo in Poesie (1974-1992), 1992, p. 53)

«Fuori in realtà non c’era cambiamento,
è il morbo stagionato che mi sottrae alle strade:
dentro di me è cresciuto e mi ha corrotto gli occhi
e tutti gli altri sensi: e il mondo arriva
come una citazione.
Tutto è accaduto ormai, ma io dov’ero?
Quando è avvenuta la grande distrazione?
Dove si è slegato il filo, dove si è aperto
il crepaccio, qual è il lago
che ha perso le sue acque
e mutando il paesaggio
mi scombina la strada?»
(P. Cavalli, Il cielo in Poesie (1974-1992), 1992, p. 90)

«Tu te ne vai e mentre te ne vai
mi dici: – Mi dispiace -.
Pensi così di darmi un po’ di pace.
Mi prometti un pensiero costante struggente
quando sei sola e anche tra la gente.
Mi dici: – Amore mio mi mancherai.
E in questi giorni tu cosa farai?-
Io ti rispondo: – Ti avrò sempre presente,
avrò il pensiero pieno del tuo niente-.»
(P. Cavalli, L’io singolare proprio mio in Poesie (1974-1992), 1992, p. 148)

«Tutti i miei sensi raccolti in uno
che era tutti e non era nessuno.
Un impasto densissimo amoroso
che riassorbiva il mondo nel riposo.
Si mostrava nella forma di un sorriso
che era di tutto il corpo non più diviso,
luce e riflesso della luce d’ogni corpo,
mi visitava tenerezza di nascosto.»
(P. Cavalli, L’io singolare proprio mio in Poesie (1974-1992), 1992, p. 244)

«Sono diventata molto saggia
dico saggezze una dietro l’altra
facilmente molto facilmente
le dico e le dimentico
posso dimenticarle
perché ne ho sempre un’altra.
D’altronde io
non sono mica il tipo che risparmia!»
(P. Cavalli, Pigre divinità e pigra sorte, 2006, p. 69)

«Bene, vediamo un po’ come fiorisci,
come ti apri, di che colore hai i petali,
quanti pistilli hai, che trucchi usi
per spargere il tuo polline e ripeterti,
se hai fioritura languida o violenta,
che portamento prendi, dove inclini,
se nel morire infradici o insecchisci,
avanti su, io guardo, tu fiorisci.»
(P. Cavalli, Pigre divinità e pigra sorte, 2006, p. 125)

«Salivo così bene le scale,
possibile che io debba morire?
Le salivo così bene a ogni gradino
che anche il mio più piccolo respiro
si svolgeva mostrandosi sovrano,
e niente andava perso, il dito medio
e il mignolo vibravano nell’intimo.
Perché è nei millimetri che senti
l’immortale disporsi della regola.
Mai avrei potuto sembrare più perfetta,
le chiavi in mano
col verde laccio di gomma
che le tiene e dondola. Ma adesso
che cazzo vuole da me questo dolore
al petto quasi al centro! Che faccio, muoio?
O resto e mi lamento?»
(P. Cavalli, Datura, 2013, p. 90)

«Festeggiamo e consoliamo
cos’altro noi facciamo?
Festeggiamo la vita
consoliamo la morte
o magari il contrario
così finché viviamo.»
(P. Cavalli, Vita meravigliosa, 2020, p. 107)

«La morte vorrei affrontarla ad armi pari
anche se so che infine dovrò perdere,
voglio uno scontro essendo tutta intera,
che non mi prenda di nascosto e lentamente.»
(P. Cavalli, Vita meravigliosa, 2020, p. 108)

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Riferimenti bibliografici

Patrizia Cavalli, Poesie (1974-1992), Einaudi, 1992.
Patrizia Cavalli, Pigre divinità e pigra sorte, Einaudi, 2006.
Patrizia Cavalli, Datura, Einaudi, 2013.
Patrizia Cavalli, Vita meravigliosa, Einaudi, 2020.
Joanna Russ, Vietato scrivere. Come soffocare la scrittura delle donne, Enciclopedia delle donne.it, 2021.

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Immagine di copertina:
Patrizia Cavalli in un ritratto di Massimo Giacci (1991, particolare).