Frutto delle lezioni tenute presso l’Università Bicocca di Milano nell’anno accademico 2020-2021, il saggio di Mario Giuseppe Losano, Dalle leggi razziali del fascismo alle amnistie postbelliche: 1938-1953 (Mimesis, 2022) affronta un tema particolarmente interessante e allo stesso tempo fastidioso: le leggi razziali del ’38 e soprattutto le successive amnistie succedutesi negli anni 1946 e 1953.
Questi provvedimenti, conosciuti come “Amnistia Togliatti” e “Amnistia Azara”, trattano oggettivamente di un problema di giustizia transizionale, e il breve saggio le affronta con un deciso appiglio giuridico attraverso una scrittura scorrevole. Nonostante la descrizione neutrale e tecnica degli atti legislativi, tuttavia, appare evidente quale sia il nucleo fondante dell’insegnamento che quest’opera vuole promuovere. Nell’introduzione si dichiara con chiarezza:
«Memoria, Verità, Giustizia: ecco le “tre premesse esistenziali” che – in ogni tempo e in ogni luogo – le radicali transizioni politiche devono mettere in pratica: le pagine seguenti documenteranno come l’Italia abbia cercato di farlo nei travagliati decenni del dopoguerra» (p. 13).
Al lettore attento non possono sfuggire quali siano i pilastri su cui si fonda l’analisi. Primo fra tutti, stabilire che ogni affermazione di giustizia non possa essere una semplice questione di norme o cavilli, ma riguarda l’esistenza stessa dell’umano, il suo esser stato vittima o carnefice: si tratta quindi di rintracciare l’eventuale delitto, la colpa, ed il crimine – nonché il castigo. Tutto ciò, a scanso di equivoci, dimostra quanto sia necessaria una predisposizione alla volontà di giustizia. Nessun provvedimento, pur scritto a caratteri cubitali e segnato da equilibrio e buon senso, se resta inapplicato o astratto potrà mai ristabilire ordine e compensare le vittime. Un secondo punto a emergere chiaramente è che tali premesse debbano valere in ogni tempo e in ogni luogo: il diritto a ottenere giustizia non ha data di scadenza, e così altrettanto quello di poter ancora oggi, ove si ritenesse evaso, di esigerlo e reclamarlo.
Il terzo elemento in evidenza ha un carattere storico-epocale: l’Italia del dopoguerra, in quegli “anni travagliati”, ha saputo praticare la giustizia o si è accontentata di stabilire una legge- scappatoia?
Il giurista Losano indica nel suo lavoro la documentazione relativa alle leggi razziali, lo spirito opportunista in cui nacquero, il camaleontismo di una società intenta a seguire vantaggi personali (trasversalmente: dai commercianti ai legislatori, dagli accademici ai politici). Questi dati, sebbene inquietanti e disgustosi, non possono tuttavia stupirci, poiché rientrano nello sposalizio tra Benito Mussolini e il governo nazista. Sebbene gli italiani non si crogiolassero in una ideologia votata allo sterminio come in Germania, la pratica quotidiana l’ha concesso e persino sostenuto. Le deportazioni, la risiera di San Sabba sono lì a testimoniarlo.(1)
Ciò che più colpisce tuttavia in questo saggio sono le scelte politiche adottate negli anni successivi al fascismo, e quali le costruzioni giuridiche definite per porre rimedio e sanare le ferite della società. Ebbene, le due famose amnistie su citate mostrano chiaramente quanto facile fu non solo scordarsi delle vittime ma addirittura, attraverso norme largamente interpretabili, anche la facilità con cui interi strati della popolazione fascista la fecero franca e vennero “assimilati” dalla nuova recente democrazia.
Fra le alte cariche dello stato del dopoguerra compaiono nomi di personaggi solo alcuni anni prima responsabili in prima persona di provvedimenti disumani, e rappresentanti di palesi posizioni razziste: si pensi a Gaetano Azzariti, presidente del Tribunale della Razza, poi ministro della Giustizia nel primo governo Badoglio, oppure a Antonio Manca o Giuseppe Lampis, del suddetto tribunale, infine giudici della corte costituzionali nel dopoguerra. Con le due amnistie quindi non solo si è tradita la giustizia per le vittime, ma è stata riciclata una porzione consistente delle élite fasciste nei più prestigiosi incarichi di governo. Certamente, osserva il Professore, vi furono anche giuristi, accademici e scienziati dalla schiena dritta. Ciò tuttavia non può bastare a trovar consolazione, soprattutto registrando nell’ultimo decennio un vero e proprio revival politico di posizioni insostenibili, segno ineludibile dei danni provocati da una generazione priva della volontà di chiudere i conti con un passato disumano. Nel saggio viene citato il caso del deputato Durigon, della Lega, il quale nella campagna elettorale per l’elezione del sindaco di Latina nel 2021 sostenne la necessità di rinominare i giardini pubblici “parco Mussolini”, e quindi di cancellare il recente battesimo in parco “Falcone e Borsellino” operato dalla giunta di centro-sinistra per una questione di onestà culturale. Affermazioni simili, non certo estemporanee da parte di molti politici nostrani, non stanno a indicare battute provocatorie, ma una vera e propria rimozione della storia. Appare chiaro infine, in maniera palese, quale sia la grande confusione vissuta dal paese negli ultimi cinquant’anni: il fascismo si è riciclato e non è stato affrontato in maniera adeguata dal punto di vista culturale, oltre che politico.
Nel presente saggio c’è una sezione dove sono riportati testi e bibliografie essenziali, volti a determinare un ultimo elemento sostanziale: il fascismo va ancora studiato, affrontato e possibilmente risolto, e non si potrà affermare una società davvero democratica e rispettosa delle vittime fino a quando il popolo intero e quanti lo rappresentano non faranno i conti con uno dei lati più oscuri della storia italiana. A chi è rimasto sconvolto dalla vittoria alle ultime elezioni di un partito di destra nel cui simbolo c’è ancora la fiamma tricolore, esprimendo una preoccupazione comprensibile, va ricordato quanto tale vittoria, più di essere un punto di partenza estemporaneo e oscuro, rappresenti il traguardo di un lungo percorso di “rinnovamento” della cultura di destra nelle istituzioni, alla quale spetterà dimostrare, nel futuro a venire, continuità o totale differenza da una tradizione di infamia e soprusi.
———
Note:
———
Immagine di copertina:
© Sabrina Manfredi, Metafisica V, 1989 – Palazzo della civiltà italiana, Roma.