Sto scrivendo la presente recensione il 13 settembre, in maniera casuale, notando adesso che coincide con la data di morte di Svevo. L’ultimo lavoro di Enrico Terrinoni, La vita dell’altro. Svevo, Joyce: un’amicizia geniale, edito da Bompiani, è una biografia “quantistica” di Joyce e Svevo. Perché quantistica? Lo studioso da anni è impegnato nel tentativo di offrire una critica letteraria meno succube dei rapporti di causa ed effetto in campo ermeneutico e palesemente rivolta all’utilizzo del vocabolario della Quantum Theory per esplorare il rapporto vita-letteratura. L’“entanglement” tra Joyce e Svevo è esemplare del suo metodo di studio: le due esistenze si intrecciano e convivono in uno stato nebulare, “collassato” dallo sguardo di Terrinoni, il quale paradossalmente porta alla luce quanto era già presente ma sfuggente, o persino nascosto o addirittura impaziente di venire alla vita.
Il risultato è uno studio che “riverrà” a interrogarci nei futuri sogni notturni, poiché ogni grande esistenza diventa parte delle nostre; come un fiume (di coscienza) carsico capace di riemergere in epifanie impreviste, a volte mefistofeliche, altre innocenti, allo stesso modo il triestino e il dublinese ci appaiono all’improvviso nella testa in continuo dialogo, impossibilitati, noi come loro, a sciogliere il legame impertinente e impalpabile tra letteratura e vita, la cui origine sembra precedere la dimensione spazio-temporale. Prima dello spazio-tempo è una frase insensata, ne siamo consapevoli: l’interrogativo li presuppone… Eppur resta legittima. La “nebulosa quantica” non è nel divenire. E la grande letteratura? Si può ironicamente azzardare abbia la stessa dimensione eterna? Non è ovunque, e sottratta al cambiamento, pur essendone il presupposto fisico e presente nell’universo ri-velatosi?
Si tratta di metafore azzardate, ovviamente, e non vogliamo certo sostituirci agli scienziati. Eppure, se l’immaginazione riesce a osare, e se a volte il bello è più necessario del vero, ciò che si sogna può essere reale o addirittura superarlo. Se diamo ragione a Shakespeare, e siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni, non possiamo esimerci dal procedere, e constatare, attraversando questo saggio quasi psichedelico, una profonda verità, a mo’ di confessione. Mentre Joyce cammina ubriaco fradicio a Trieste, fra bettole e osterie, noi siamo a pochi passi da lui, nella penombra. Lo scrittore non lo sa, ma ci siamo. E quando Svevo regalerà all’irlandese il ritratto di sua moglie Livia, i colori del dipinto e le sue chiome voluminose colpiscono anche il nostro sguardo, caricandolo di stupore. Tutto ciò è accaduto, e a chi insinua il contrario, ricordiamo le parole di Fernando Pessoa:
Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.
E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.
E così sui binari in tondo
gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore. (1° aprile 1932)
Terrinoni è andato oltre la stesura di un saggio, impegnandosi in una impresa poietica: “svelare mondi” prima inesistenti, eppure da sempre lì, ma invisibili ai nostri occhi, ciechi come quelli dei gattini prima di imparare, crescendo, a scrutare le tenebre più fitte. Un vero e proprio romanzo nel quale “colloca” anche i lettori accanto agli amici geniali, esattamente attraverso una “teoria letteraria quantistica” che vede necessariamente partecipi gli osservatori.
Una prova? Siamo nel mese di Settembre. Il 13, nel 1928, Svevo lascerà questo mondo per tornare in quella nebulosa infinita intorno a noi chiamata vita, per ripresentarsi ogni qual volta lo penseremo. Magari stasera, avvolti dal fumo di una sigaretta o davanti a un bicchiere di bianco, riflettendo tra coincidenze degli opposti o sincronicità, sprofonderemo in una notte borgesiana, fatta di sogno infinito, del ticchettio della pioggia, del maestrale del porto. Passeggeremo lungo il Liffey domandandoci chi sia più reale, noi o Leopold Bloom, o torturandoci di gelosia per la nostra consorte. Sono queste le atmosfere presenti nella doppia biografia. Fra i tanti affreschi prodotti, due temi richiedono maggiore attenzione, reclamandoci, secondo quanto appena accennato: uno è certamente la quasi morbosa ossessione di Joyce per le date. Nel saggio vengono riportati vari esempi, tra cui spicca proprio il 2 febbraio, giorno in cui viene pubblicato l’Ulisse e… Svevo annuncia di fumare l’ultima sigaretta ne La coscienza di Zeno: «Oggi, 2 Febbraio 1886, passo dagli studii di legge a quelli di chimica. Ultima sigaretta!!». Casualità? Pare proprio di no. Trattasi invece di indizi e segnali di un legame nutrito ben oltre le differenze di classe. Il secondo – con l’ironia e il sarcasmo indubbiamente presente nella loro prosa – la volontà di rifiutare qualsiasi teleologia. Ma allora perché scrivere? Perché cercare di scovare queste coincidenze continue? La risposta, verrebbe da dire, è sia letteraria sia politica, ma non vogliamo aggiungere altro, per non privare il lettore di gustarsi ogni tappa di questo viaggio suddiviso in 13 capitoli.
Il saggio, sia chiaro, non deplora il lavoro esegetico e filologico, ma lo ritraduce in una serie di ritratti impressionistici dove il delicatissimo rapporto di due persone si ri-vela con un linguaggio anni-luce (ancora la fisica) lontano dalla pedanteria. Ecco l’incipit del primo capitolo, quasi un “acquarello letterario”:
«30 gennaio 1924. Gare de Lyon, una tra le più belle stazioni della capitale francese, vicino a Place de la Bastille. Una stazione moderna, costruita per l’Esposizione universale del 1900. Svetta, a un angolo dell’edificio, una torre con il più grande orologio della città. Al suo interno c’è un irlandese che aspetta un treno, un treno che non arriverà. Affetta eleganza in maniera malcelata, il nostro signore: indossa un ampio vestito a nasconderne l’esile figura. Sembra un fuscello: si piega facilmente al vento, ma non si spezza mai. Ha un Borsalino in testa, in mano tiene un leggero bastone di frassino, e porta lenti spessissime, abituate a velare occhi stanchi e sofferenti. Quegli stessi occhi che avrebbero saputo scrutare “nel nulla” solo per scoprirvi un “bellissimo niente”» (p. 17).
Il titolo d’apertura dello studio è altrettanto rivelatore: La vita dell’altro. Scorrendo le prime pagine si capisce fin da subito che non si tratta – non soltanto – di investigare dei percorsi biografici. Centrale è anche “l’altro della vita”, ossia la Letteratura, quella realissima “menzogna”, direbbe Manganelli, per cui il particolare diventa universale, un giorno qualunque in una qualsiasi città (Dublino), si trasforma in un viaggio ironico e archetipico dell’Uomo occidentale. E non sono i sogni un altro dal reale? Lo ricorda Fellini: «I nostri sogni sono la vita reale».
Il rapporto tra Svevo e Joyce è doppio, come il teatro di Artaud o la nuda vita. Svevo deve dialogare con Ettore, James con Leopold – e le loro controparti femminili. Biografie di biografie, inevitabilmente trascorse eppur proiettate nel futuro, il nostro, nello spazio da riempire con i sogni, anch’esso ancora da decifrare all’interno della nebulosa circostante. Alla fine, tuttavia, c’è qualcosa forse di più importante di ogni interpretazione: si tratta di una amicizia profonda e leale, complessa certamente, fatta anche di contrasti (come le grandi amicizie). Un libro infine sull’amore, quel sentimento ritenuto da Dante, maestro venerato da Joyce, in grado di muovere «il sole e l’altre stelle» (Par., v. 145), e forse, per noi umili verseggiatori da osteria, semplicemente il filo rosso che tiene unite, proprio come accadde a Svevo e a Joyce, le nostre vite traballanti. Come sottolinea Terrinoni:
«Joyce aveva tentato, sempre, strenuamente, di rendere felice l’amico. È questa una delle firme del loro rapporto, un rapporto umano e letterario complesso. Ed è, credo, anche lo scopo, se non il vero fondamento, di un’amicizia sincera» (p. 217).