Nel panorama della poesia contemporanea italiana esiste una voce che con forza inaudita attribuisce agency agli animali non umani, li pone al centro della narrazione scalzando la prospettiva antropocentrica. Si tratta della poetessa Teodora Mastrototaro, che con Legati i maiali, edito da Maco Saya, ha restituito una visione dall’interno della condizione esistenziale dell’animale non umano in stato di detenzione. Una visione disperata, in cui la stessa maternità diviene una condanna a morte, la quotidianità una sospensione in attesa dell’ineluttabile. Il verso narrativo reclama in alcuni punti una classicità che infonde uno statuto tragico alle voci non umane e precipita il lettore in un’afflizione che non ha nulla di catartico, se non la presa di coscienza da parte degli umani del ruolo di carcerieri che detengono. La costrizione nel titolo prefigura quindi una liberazione nella descrizione della sofferenza, che finalmente si manifesta nel discorso degli animali, nel racconto della propria condizione. È la costernazione oggettiva, senza scampo, di chi è consapevole di esistere nel mondo come cibo di una specie altra, con cui tuttavia l’essere senziente e cosciente intrattiene un dialogo e la invita a guardare, e si lascia guardare nella sua essenzialità di ostaggio senza via di fuga. Come scrive Laura Liberale, «[n]on è facile sostare nella potenza di questi versi, accoglierla. Ma si deve, perché ignorare non ha mai salvato nessuno, e qui le parole aspirano a essere arca di salvezza, essendo stata da tempi immemorabili orrendamente trasgredita la legge dell’alleanza».
Un racconto a cui non è più possibile oggi sottrarsi, nella nostra ricerca di una via di uscita da un sistema produttivo che sta devastando lo spazio fisico in cui ci è dato di sopravvivere come specie, ben sapendo che non vi sono altri spazi al di fuori di questo in cui replicare condizioni di vita ideali. Se l’Antropocene è una frattura che rimodella i valori costitutivi dell’essere umano, nella poesia di Mastrototaro si trova una indicazione della via di uscita dal progetto modernista (Latour) a cui in effetti oggi pare non esservi scampo. [Claudia Boscolo]
Giochi con la parte irregolare di un pulcino.
I maschi tramontano nel piano inferiore del nastro.
Ha paura, l’animale, dell’abisso.
Nella notte perde peso e il giorno dopo silenzio.
Veloce procedi nei giorni, ti sporchi le vesti,
inganni le ossa.
Lo maceri mentre pigola al limite delle tue parole
che mostrano forme rotte di fratelli senza nome.
Tritati vivi i disgraziati viaggiatori.
Ti sanguina il guanto, uomo, nella cavità arida della parola cadavere.
***
Siamo Mucche a terra,
mendicanti della nostra stessa carne.
Bestia che cade non riposa.
Con il trattore mi sollevi insieme all’erba nera
dove ho cacato immobile.
Sono il punto di partenza delle mosche.
Madre dalle mammelle che puzzano, dai capezzoli sporchi,
dal latte finito e dal figlio morto senza essere ammazzato.
China su di me rinnego il cielo e mangio la terra.
Divento la tua preda senza che tu possa turbarti
col sorriso che ti pende sottovoce.
Corpo senza bara scaricato come scarto
dentro al camion: scompaio.
***
Ancora cosciente mi rivolti vivo nella vasca,
l’acqua bollente rende tenera la morte.
Un paio di minuti è il tempo che ci vuole
per far puzzare il cielo.
Il porco dopo di me non sa nuotare,
gli basterà un secondo per farsi trasformare
nel bianco del carcame scolorito.
Un braccio meccanico mi spinge giù in fondo
nel mare sospeso di rosso.
Il porco ha gli occhi fissi su di me che fremo,
mi opprimo, continuo a calare.
Quando l’inferno non ti brucia più ne fai parte
o non esisti.
***
Prima di essere recisa, lo stordimento.
Il proiettile entrato dentro il cranio
mi ha stordito – non mi ha ucciso.
Mi guardi mentre annaspo nell’oscuro
dei miei passi. Prima di crepare
nella severa danza sono corpo controllato
– sempre in equilibrio sulla punta della lama.
Per te sono più bella così: scuoiata immobile.
***
La carcassa degli animali allevati cruelty free
ha il sangue di un rosso acceso, al tatto è soda
ed elastica, i muscoli sono teneri, la grana
finissima, ed è coperta da uno spesso strato
di mezzatura.
Lo scuoiatore la chiama
La Carne Felice.
***
Alcuni maiali arrivano congelati
per aver viaggiato vicino alle pareti del carro bestiame.
La realtà dell’inverno è nella durezza dei pezzi di pelle
rimasti attaccati alle pareti di metallo quando
legati i maiali vengono strappati con forza e portati fuori.
Gli operai li gettano sulla pila dei morti, tanto moriranno
prima o poi, con la stagione del freddo.
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Immagine di copertina:
Annibale Carracci, Bottega del macellaio (Grande macelleria), 1585 circa, Christ Church Picture Gallery, Oxford.