«Il giorno della resa dei conti si profilò a un orizzonte non tanto lontano. Non c’era più nessun posto dove nascondersi e non era mai stato da lui scappare. Per un uomo che non aveva mai avuto intenzione di abbandonare questi posti, l’unica scelta possibile adesso era mantenere la posizione e mostrare i denti». 1
Mentre «trecento ettari di terra bruciavano da qualche parte controvento e il fumo si era depositato sulla strada come una nebbia» (p. 22), Raymond Mathis guidava attraverso la riserva degli indiani Cherokee in un’aria morta, tra i bagliori dei fuochi che bruciavano tutt’intorno. Percorreva strade che conosceva a memoria, nonostante tutto intorno fosse mutato da anni, svenduto al nuovo rinascimento mercantile del turismo, che piazzava in vetrina punte di frecce prodotte per pochi centesimi dall’altra parte del mondo. Affaticato da una vita che non aveva mai esaudito preghiere, ma convinto che «troppa gente era rimasta zitta e non aveva fatto niente, era rimasta lì a guardare il mondo andare a puttane» (p. 107), Raymond Mathis andava a recuperare, per l’ennesima volta, il figlio tossicodipendente pestato a sangue da un qualche corriere della droga.
Nei paraggi, l’agente della Dea Ron Holland, sfiancato dalla burocrazia e da quella che ormai definisce una comica giustizia americana, girava su sé stesso in cerca di una pista da seguire, una traccia che lo portasse a intercettare il traffico di droga che da anni viaggiava tra le montagne e riduceva la popolazione in una schiera di zombie junky senza meta.
Intanto, uno dei junky, Denny Rattler, reduce da un brutto incidente sul lavoro, commetteva piccoli furti per potersi pagare la droga e di lì a poco sarebbe incappato in un grosso affare, di quelli che non è possibile rifiutare e che avrebbe cambiato la sua vita per sempre. Denny era «quello contro cui i forestieri puntavano il dito, l’indiano ubriacone, l’indiano tossicodipendente che aspettava solo l’assegno della tribù da spararsi in vena» (p. 241).
È questo, dunque, il romanzo-luogo di David Joy: una serie di mega-incendi che si estendono sulla catena degli Appalachi, dall’Alabama al Kentucky, e sembrano non avere fine; Raymond Mathis, Denny Rattler e Ron Holland che trascinano le loro esistenze sconcluse tra le montagne e convergono, senza saperlo, verso una spirale di morte e resurrezione che li condurrà al centro di un’ampia indagine per smantellare il traffico di droga che viaggia tra le montagne. Montagne che, una volta, avevano un proprio ordine, tra le quali le famiglie vivevano intrecciate alle valli e che ora non sono che un’imbarazzante riproduzione in scala per viaggiatori occasionali, dove gli abitanti del luogo, complici di questo inabissarsi, sono divenuti spettri di loro stessi.
«Quando un uomo arriva alla fine di qualcosa, un conto è guardarsi le mani e vedere che la propria vita è andata in pezzi, ma un altro conto è guardarsi indietro e vedere che tutto è andato distrutto a causa sua. Le vite possono andare solo in una direzione, e quello che rimane indietro è una cosa potente e permanente» (p. 228).
Queste montagne bruciano, pubblicato dall’editore Jimenez nel 2022, non è l’unico romanzo di David Joy a essere stato intercettato in Italia – nel 2023 è uscito sempre per Jimenez Dove tende la luce –, ma l’autore conta almeno altri due titoli importanti, The Weight of This World e The Line That Held Us. È quindi solo l’ultimo di una serie di romanzi-luogo che Joy radica nelle regioni deserte degli Appalachi, tra la Carolina del Nord e il Tennessee, e con il quale prosegue un’indagine serrata sull’estinzione. Un mondo si è inabissato e molti altri stanno per farlo in un domino rovinoso marcato dall’indifferenza, dove solo alcune anime perse sembrano accorgersi di quello che sta accadendo. Personaggi fuori rotta, persi in un delirio di luoghi che mutano più velocemente delle generazioni, uomini e donne che si scannano, junky strafatti che camminano sull’orlo di un precipizio, una Nazione, nata dalle ceneri di una catastrofe, a sua volta inghiottita dal suo stesso legiferare, nella quale le persone vivono vite governate da stupidaggini. Un romanzo di piccole e grandi catastrofi, tra le quali trovano spazio figure che riescono in qualche modo a mantenere una rotta, come il vecchio Ray, guardiacaccia in pensione che, dopo aver perso tutto, continua imperterrito a camminare tra i boschi, a praticare lo stile di vita con il quale era cresciuto, nel quale ognuno manteneva la parola data e la comunità si riconosceva e si aiutava. Nel bel mezzo della fine Raymond Mathis sa bene che
«quando il tempo si accorcia, restano solo i ricordi, i racconti sparsi come semi, le storie che ci tengono uniti in questo mondo. Possiamo ripeterle, possiamo raccogliere i resti delle anime che sono esplose nell’infinito, ridare forma ai pezzi frantumati e infondere nuova vita in coloro che abbiamo amato e perduto» (p. 261).
Le storie di Ray, Denny, Ron e Leah Green, figlia di un caro amico di Ray e disposta ad aiutarlo nel corso delle indagini, sono altrettante piste romanzesche e sono le storie di coloro che provano a barcamenarsi tra il fumo e la cenere, mossi dalla consapevolezza che «le nostre vite sono la somma di tutte le scelte che abbiamo fatto. Cosa sarebbe il mondo senza le conseguenze?» (p. 123).
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1) David Joy, Queste montagne bruciano, Jimenez Edizioni, Roma, 2022 (When these Mountains Burn, Penguin Random House, 2020), p. 118.