Recentemente è stato pubblicato anche in Italia il terzo e conclusivo volume della saga BRZRKR, creata da Keanu Reeves e Matt Kindt, disegnata da Ron Garney e colorata da Bill Crabtree, originariamente uscito negli USA nel 2021. Ovviamente, la firma del noto attore è stata una potentissima calamita verso il progetto, ma anche lo staff con cui ha collaborato è di alto livello, e il risultato gode di una potenza immaginifica davvero rara. Il progetto rimane impantanato nelle difficoltà della produzione dovute al lockdown del 2019-2020, per cui Reeves e soci scavalcano gli standard operativi e fanno partire un crowdfunding su Kickstarter, riuscendo così a raccogliere 350.000 dollari solamente il primo giorno e oltre 1,45 milioni a fine offerta. In origine erano previsti anche un live-action e una serie anime su Netflix, ma di entrambi pare si siano perse le tracce nel corso degli anni. Magari il network se ne rammenterà in occasione della pubblicazione – questa ormai certa – del romanzo scritto a quattro mani con China Mièville e annunciato per questo luglio. L’opera, che si svolgerà nello stesso universo narrativo di BRZRKR, si intitolerà The Book of Elsewhere.
La impronunciabile parola di sole consonanti che dà il titolo al fumetto è la contrazione senza vocali del termine berserkr, nome che i lettori di manga e gli esperti di filologia germanica riconosceranno senza esitazione. I berserkr, per i non addetti ai lavori, sono guerrieri presenti nella mitologia norrena noti anche come il “furore di Odino”. Uomini che sotto l’effetto di sostanze psicotrope e/o allucinogene perdevano completamente il lume della ragione diventando furie distruttive incontrollabili, trasformandosi (almeno metaforicamente) – così raccontano le saghe – in esseri insensibili al dolore e alla sofferenza. Il mito di questa incarnazione del guerriero-orso (la parola etimologicamente ha la stessa origine del bear inglese) è transitato attraverso i secoli, per approdare al mondo manga, dove ha conosciuto una diffusione enorme, grazie a un’omonima serie e a molte altre epifanie.
Nel caso di questo comic a firma Keanu Reeves, il personaggio – disegnato a immagine e somiglianza dell’attore – nasce 80.000 anni or sono, invocato da una preghiera collegata con un rituale ancora più arcaico, come un antico Messia. Il bambino già appena nato si dimostra sovrumano, un semidio, praticamente immortale. È chiamato Unute, che nella lingua del popolo in cui si manifesta significa “strumento, arma”. Il lettore però lo incontra nel mondo contemporaneo, dove è al soldo del governo americano, che lo impiega per le missioni a rischio assoluto, quelle definite dal motto “nessun testimone”. In cambio, la CIA promette di trovare il modo per permettergli di morire, sua massima ambizione, com’è facilmente immaginabile. È chiaro che si tratta di un patto tutt’altro che favorevole. Si capisce immediatamente che gli studi in corso su di lui hanno ben altro fine che quello da lui desiderato, ovvero la scoperta del suo segreto, lo studio della genetica che lo riguarda e che permetterebbe la costruzione di altri come lui. I primi due volumi dell’edizione italiana, corrispondente a otto volumetti spillati, sono ciò che Ben Grimm avrebbe chiamato Tempo di distruzione, ma il placido e dolce pietrone arancione della Marvel è lontano anni luce dalla crudele devastazione splatter e gore a cui B. (questo è il nome con cui è noto alla CIA) ci costringe ad assistere. Unute ci mostra come l’intera storia del nostro mondo altro non sia che una lunga striscia di sangue e dolore, poco importa che lui ne sia stato l’incarnazione, l’angelo del male, lo strumento (nomen omen), senza di lui gli uomini che lo incitano avrebbero distrutto, tagliato, ucciso, amputato in ogni caso, solo più lentamente. Unute tenta, più volte, ostinatamente, di chiamarsi fuori, di vivere, di amare, ma il suo status di immortale lo costringe solo a vedere la fine di coloro che ama, e quindi – per reazione – si costringe all’isolamento, ad allontanarsi dal mondo.
Il suo percorso di ricerca interiore, lo scavo doloroso alla ricerca delle sue origini, è – per lui come per ognuno di noi – la terapia psicoanalitica. Ed è proprio grazie al rapporto sempre più profondo con la sua analista – un’intimità talmente immersiva da far divenire la loro comunicazione telepatica – che ricorda e scopre il nascondiglio di un oggetto magico che sua madre voleva dargli prima di morire, e che lo avrebbe salvato, permettendogli di diventare mortale.
Ma se i primi due volumi respingono il lettore con un eccesso di violenza davvero smisurata, è solo nel terzo che l’estensione dello spirito di Unute si mostra nella sua dimensione universale; da Highlander terrestre figlio di un mito si rivela come la manifestazione di una alterità assoluta, progenie di una razza aliena che forse non è nemmeno rintracciabile sul nostro stesso piano di esistenza.
Ritrovato, in un susseguirsi di colpi di scena, il dono di sua madre, Unute raggiunge la sua mortalità, ma ora lui e Diana – la studiosa che ora è parte dello stesso meccanismo che ha prodotto lui – sono soli contro tutti. Sono tre i temi che si intrecciano in questo suggestivo finale: l’alterità assoluta di cui la coppia ora è parte e verso cui è ponte; il tema del cosmo come dark forest, dove la violenza e la soppressione dell’altro – indipendentemente dal suo reale rappresentare un pericolo – sono l’unico mezzo per garantirsi la sopravvivenza; il progetto di una panspermia per cui ogni razza tenta in ogni modo di riprodursi, indipendentemente dalle conseguenze per l’altro.
Anche qui – come in Liu CiXin – non esiste nessuna benevolenza, e l’amore, quando si accetta di provarlo, si trasforma implacabilmente in un rito sacrificale. Unute riesce a morire, ma non lascia in alcun modo un mondo migliore.