La scrittrice nel buio, Voland, 2024
Come il romanzo di esordio, anche l’ultima fatica letteraria di Marco Malvestio racconta la storia di una donna vista da lontano, la cui centralità e importanza sono contemporaneamente attestate e anticipate – anche questo già in Annette – nel titolo stesso dell’opera. «Il centro del racconto» di La scrittrice nel buio, pubblicato da Voland lo scorso aprile, è infatti tutto «sbilanciato» (p. 7) sulla figura enigmatica e spaventosa di Maria Zanca, poeta e scrittrice del Novecento che in vario modo determina il destino di tutti i personaggi maschili presenti nel testo.
La storia è raccontata da Marco, studioso di letteratura nato nella desolata e industrializzata provincia padovana composta da «torme di case squadrate e stinte, bar zeppi di alcolizzati già sul fare dell’alba, e piazze dalle anguste geometrie che si stringevano intorno a chiese in stato di semiabbandono» (p. 9), che ricostruisce retrospettivamente quanto accaduto a lui e a Federico, suo compagno di università, mentre lavoravano al carteggio Zanca, ovvero una serie di lettere che lo scrittore e critico letterario Vittorio Ferretti ha spedito all’amico Pier Luigi Carraro a proposito di una enigmatica e giovanissima poeta.
Diviso in quattro capitoli, La scrittrice nel buio è un romanzo simmetrico per struttura, contenuto e distribuzione dei personaggi. I primi due capitoli ricostruiscono il contesto in cui si muovono i protagonisti – quello accademico di Marco e Federico, quello culturale romano degli anni Sessanta-Settanta del Novecento di Ferretti e Zanca –; i successivi, invece, rendono conto della fine del rapporto amicale tra i giovani studiosi e della relazione romantica tra Vittorio e Maria, introducendo elementi soprannaturali tipici del romanzo gotico. I personaggi sono costruiti in maniera antitetica e tendono a costruire tante e varie coppie, occupando spazi diversi del testo: se Marco è schivo («Legavo poco con gli altri studenti» p. 10), proviene da «un paesino sonnolento» (p. 8), è costretto al pendolarismo, agli abiti dismessi e al pranzo al sacco da una condizione economica precaria, Federico, al contrario, è nato a Padova, è «sempre al centro delle scena» (p. 10), «ama vestirsi bene» (p. 12), e proviene «da una famiglia elegante, oltre che ricca» (p. 12). La coppia Zanca-Ferretti è definita dalle stesse disparità sociali e da altrettanto problematici rapporti di potere: come Federico, Ferretti è definito anzitutto dalla «sua onnipresenza nel panorama culturale dell’epoca» (p. 52) e da una generosità calcolata, per cui «cerca di dare con una mano e di togliere con l’altra, elargendo il suo aiuto ma in modo che chi lo riceveva restasse dipendente da lui, e in una posizione inferiore» (p. 59); come Marco, invece, Zanca, vive «in un paesino dimenticato da Dio» (p. 61), «è distaccata e fredda» (p. 64), ed è obbligata, in un primo momento, a brillare della sola luce concessale dal suo più estroverso e ingerente benefattore.
Terreno di condivisione e di contesa tra i personaggi è la letteratura, disincarnata e teorica nello spazio accademico in cui si muovono i due ricercatori, concretamente rappresentata attraverso i nomi noti che popolano l’ambiente romano in cui sono collocati Zanca e Ferretti. Malvestio ricostruisce il contesto sociale e culturale italiano di fine anni Sessanta, lasciando la parola a personaggi come Alberto Moravia, Elsa Morante, Italo Calvino, Dacia Maraini, Paolo Volponi, Alba De Céspedes che prendono la parola a proposito della nuova coppia di scrittori e amanti. All’opposizione tra Federico e Marco, per cui il primo è «bulimico» e inghiotte «ogni cosa di fretta per l’ansia degli altri libri da leggere» (p. 21) mentre il secondo si accontenta dei libri recuperati dal padre cartolaio, che legge con attenzione e parsimonia («La letteratura per me non è mai stato un sistema da comprendere o da padroneggiare, ma qualcosa che mi succedeva (che succedeva proprio a me) intimamente» (p. 21), segue quella analoga tra Ferretti e Zanca: Vittorio è un uomo e uno scrittore mediocre, produce testi che imitano grossolanamente ora poeti come Pavese e Scotellaro, ora «la letteratura della Resistenza, il dramma borghese à la Moravia, e la nuova letteratura industriale» (p. 51); Maria, al contrario, scrive opere «dalla prosa ispida e contorta, a tratti declamatoria senza mai essere esornativa […], è come se il testo fosse scritto con la meditata calma di una sibilla per il bene del prossimo» (p. 58).
Eppure, in un primo momento, sono i mediocri a uscire vincenti da questa contesa, è l’opportunismo di Federico e Ferretti a essere premiato. In questo senso, il romanzo produce un’ulteriore simmetria, che vede schierati sui lati opposti della barricata vinti (Marco e Maria) e vincitori (Federico e Ferretti). Da una parte, stanno i personaggi emarginati – Zanca è, in quanto donna, letteralmente «sempre e solo una nota ai margini di qualche storia della letteratura» (p. 7) – economicamente subordinati, fagocitati da un sistema culturale che, pur riconoscendone il talento, decide di espellerli; dall’altra, si trovano invece gli istrionici, gli opportunisti (dice Marco, a proposito di Federico, che «il femminismo applicato agli studi letterari lo aveva sempre irritato: ma non si poteva non vederci un’opportunità», p. 83), i favoriti dalla sorte e parzialmente talentuosi, accolti nell’ambiente accademico o letterario che sia. Ciò che rende interessante il romanzo di Malvestio, però, è il ribaltamento di questa rappresentazione macchiettistica e quasi didascalica, rivelando la malignità pure inaspettatamente germinata nella coppia degli umiliati. Marco e Zanca, infatti, si vendicano dei propri oppressori ricorrendo ai poteri soprannaturali della seconda, scoprendosi villain e vincendo, alla fine, la partita. La simmetria quasi maniacalmente costruita esplode svelando una sola e unica protagonista, perfida e capace di sottomettere tutti i personaggi del testo con i suoi «occhi da rettile», la sua «lingua di salamandra» e la sua «risata atroce che sembrava più uno stormo di corvi o un osso spezzato che la risata di un essere umano» (p. 148).
La scrittrice nel buio mescola il campus (o academic) novel con il genere gotico, raccontando parallelamente la competizione accademica tra Marco e Federico e la relazione nefasta e spaventosa tra Ferretti e Zanca. Temi propri dell’academic novel sono la precarietà che definisce le carriere dei due ricercatori, la competizione tra gli stessi, la corruzione sistemica della realtà universitaria, la rivalità lavorativa ineliminabile e anzi alimentata programmaticamente, le pagine dissertative sugli studi e le opere dei vari personaggi. Gotici sono, invece, il tema del doppio, qui moltiplicato esponenzialmente, e quello della scrittura capace di uccidere o di incidere direttamente sulla realtà che racconta. Gotiche sono anche la suspence con cui si chiudono tutti i capitoli, la caratterizzazione stregonesca di Maria Zanca e la descrizione della casa desolata di quest’ultima, eternamente in penombra e avvolta in un freddo tombale; mentre i «paesi aggrappati alla statale, un tempo arricchiti dall’industria e dal turismo di cui ora restavano, come scheletri, lugubri insegne di attività chiuse» (p. 89) della provincia veneta ricordano le ambientazioni desolate tipiche dei creepypasta. Accademico a sua volta ed esperto, tra le altre cose, anche del genere horror, Malvestio sembra recuperare le convenzioni del gotico per raccontare un ambiente altrettanto ambiguo e spaventoso, quello accademico. In tal senso, La scrittrice nel buio si propone come una paradossale forma di divertissement serio: chi, avendone la possibilità, non farebbe sparire il proprio rivale, ingiustamente gratificato e valorizzato?
La scrittrice nel buio somiglia ad Annette per la centralità di una figura femminile, silenziosa e inafferrabile, con cui fa il paio un altrettanto centrale, ma più logorroico, narratore-protagonista vagamente autofittivo; ancora, i due romanzi hanno in comune l’ambientazione veneta (soprattutto la provincia), la tensione saggistica, la caratterizzazione provocatoriamente stereotipata di alcuni personaggi. Come in Annette, le parti migliori del testo sono i brani in cui chi scrive mette da parte sé stesso e cerca di ricostruire l’esistenza quotidiana e complessa dell’altro, anzi dell’altra. Rispetto all’esordio, questo secondo testo è più maturo, soprattutto nella minore prolissità e angoscia enciclopedica, e diverte per la sua ironia cupa, raccontando di una strega scrittrice che, mentre «con caotica crudezza si mette a discutere della necessità delle donne di riappropriarsi del desiderio» (p. 67), dalla sua casa sperduta in montagna soppesa i cuori di tanti minuscoli uomini di mondo.
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Immagine di copertina:
Felice Casorati, Ritratto di Cesarina Gualino (particolare), 1922