Nel 2015 Kim Stanley Robinson era uno scrittore già affermato, e, nell’ambito della science fiction, grazie soprattutto a quella che oggi è nota come la Trilogia di Marte, aveva già vinto tutti i premi che quel mondo gli offriva. Nel 1994, Green Mars fa l’en plein, vincendo Hugo, Nebula e Locus. Nel 1997 Blue Mars si impone nel Locus e nell’Hugo, mentre negli anni seguenti molti altri riconoscimenti gli sono stati attribuiti in ogni parte del mondo. Eppure, gli anni dei suoi maggiori successi dovevano ancora arrivare: Aurora (2015), New York 2140 (2017) e infine Il ministero per il futuro (2020) hanno definitivamente consolidato la sua fama. Oggi si può affermare senza tema di smentita che Kim Stanley Robinson è indiscutibilmente uno degli autori di science fiction transitati a pieno titolo nel mainstream, soprattutto grazie alle sue posizioni in tema ambientale, a cui ha dedicato la maggior parte del suo lavoro. Sorprende quindi che – per la prima volta – un suo romanzo – parliamo di Aurora – sia stato tradotto e pubblicato non da un editore di settore, come finora era successo, bensì da Ubiliber, la casa editrice espressione dell’Unione Buddhista Italiana, che finora aveva limitato la sua produzione a testi interni alle tematiche a loro affini, per quanto assolutamente interessanti e di valore. Certo, Kim Stanley Robinson non ha mai nascosto la sua vicinanza a figure come Sua Santità Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama, ma certo questo spiega solo da un punto di vista ideale il coraggioso balzo in avanti compiuto dall’editore. È quindi con simpatia e adesione che abbiamo scritto al Direttore Editoriale di Ubiliber, Emanuele Basile, per intervistarlo a proposito di Aurora. Basile è uomo di lunga e comprovata esperienza nel mondo dell’editoria, sia in Italia sia in Inghilterra, e le sue risposte ne sono riprova. Per quanto concerne il romanzo, i temi principali sono sviluppati nel corso dell’intervista, e sono quelli ben noti del pensiero di Kim Stanley Robinson, ovvero la relazione tra l’uomo e il pianeta, soprattutto quando questa viene spezzata, portando l’umanità lontano dalla Terra, che sia sulla Luna, su Marte o – in questo caso – tra le stelle. I problemi legati alla terraformazione da un lato, e all’idea di una rinascita utopistica tra le stelle sono – tra gli altri – temi cardine di questo romanzo, in cui si esasperano tesi e concetti che attraversano tutta la sua opera. Ma senza indugiare oltre procediamo con l’intervista a Emanuele Basile.

Kim Stanley Robinson, Aurora, Ubliliber

L. G.: Kim Stanley Robinson è uno dei più importanti scrittori viventi al mondo, e immagino che non sia stato semplice ottenere i diritti per la pubblicazione. Mi può raccontare la storia di questa traduzione? Dove è nata l’idea? Non credo che sia una scelta di tipo esclusivamente commerciale, dato che la vostra casa editrice è una sorta di vetrina ideale dell’UBI, e quindi come siete giunti a questa decisione è un elemento non secondario per l’arrivo qui in Italia di “Aurora”.

E. B.: La storia della pubblicazione di Aurora presso Ubiliber è più semplice di quanto possa apparire. Ubiliber è una casa editrice che, pur muovendosi all’interno di una ben precisa identità filosofico/religiosa, si percepisce come generalista ed è quindi protesa alla ricerca di offrire quante più categorie letterarie possibili. Il buddhismo, peraltro, nelle sue varie declinazioni (zen, tibetano, theravada…) è arrivato in Occidente oltre 150 anni fa ed è quindi penetrato nel profondo della nostra cultura manifestandosi talvolta anche laddove l’opera artistica non sia apertamente o dichiaratamente buddhista. Ubiliber ha già pubblicato opere di autori intrisi di buddhismo ma che del buddhismo non portano la bandiera, sto pensando per esempio alle magnifiche poesie del pluri-premio Pulitzer W. S. Merwin. Qui, come per Kim Stanley Robinson, ci troviamo all’interno di una poetica che tocca tutte le tematiche care al buddhismo senza mai (o rarissimamente) citarne la affiliazione. Potremmo parlare dell’influsso che la pratica meditativa buddhista ha su di una mente artistica. O degli effetti, anche indiretti, della frequentazione di insegnamenti, culture, rituali buddhisti. A me piace definirlo “buddhismo maturo”: un infuso talmente denso e distillato del quale non è più importante esplicitare la radice d’origine perché, in un certo senso, la sua presenza è sottile anche se quasi tutto pervade. Tornando alla tua domanda, avendo dimestichezza, anche per la mia personale formazione professionale, con la frequentazione di generi letterari vari, non abbiamo sentito di fare un salto nel buio quando abbiamo acquistato i diritti di Aurora da un importante agente italiano. C’è stata la felice sorpresa, questo sì, nello scoprire che fossero ancora liberi. Poi la trattativa è stata piuttosto normale. Peraltro, la simpatia (non saprei come altro definirla) di Kim Stanley Robinson per lo zen è cosa nota: è infatti uno degli autori che personalmente seguivo comunque. La difficoltà è stata casomai tutta nel trovare la giusta traduttrice (ne approfitto per ringraziare anche qui Ilaria Mazzaferro per il suo magnifico lavoro, al tempo stesso preciso, rispettoso e fluido), la giusta copertina, insomma per proporre al pubblico degli affezionati lettori di questo autore straordinario un’edizione degna del suo status. Ecco, una delle missioni di Ubiliber è proprio quella di restituire al pubblico italiano versioni curate, editorialmente ponderate e oso dire esteticamente belle di opere importanti per il canone letterario di appartenenza. In questo senso, non siamo ossessivamente alla ricerca di nuove tendenze, ma preferiamo concentrarci su testi la cui vita sia lunga, libri significativi del panorama culturale internazionale.

L. G.: Si tratta di un romanzo basato su un’idea piuttosto diffusa nella SF, ovvero quella della nave generazionale. Secondo questo schema narrativo gli uomini, che la fisica vincola al limite della velocità della luce, per poter raggiungere altre stelle sono costretti a viaggi di centinaia se non migliaia di anni. L’ibernazione e/o la costruzione di “comunità chiuse” autosufficienti sono le due soluzioni “tecniche” utilizzate più frequentemente, ma questo vuol dire – nei fatti – isolare completamente uno spicchio di umanità dal resto della nostra specie. La risposta che dà l’autore è evidente, ma secondo voi quella di partire è una scelta che può essere moralmente valida? Come vi posizionate su questo punto? Tra l’altro, nella SF, vi sono altri casi in cui le navi generazionali sono utilizzate da gruppi religiosi proprio al fine di poter costruire delle comunità isolate e sottoposte a determinate regole condivise, so che non è questo il caso, ma è interessante sottolineare questo aspetto.

E. B.: Premessa: il buddhismo è una religione molto antica e molto ramificata, e che adora il paradosso; quindi, è possibile difendere e/o confutare quasi ogni tesi presente al mondo perché nei 2500 anni della sua storia sicuramente un “maestro” buddhista l’ha sostenuta o abbattuta. Non esisterà quindi mai una posizione buddhista (con l’eccezione di alcuni capisaldi come il non uccidere o meglio il non creare sofferenza) definitiva su qualcosa a meno che per buddhista non si intendano proprio le parole del Buddha storico, che però non ha lasciato nulla di scritto. Inoltre, benché io abbia frequentato da lettore la fantascienza, non sono certo un esperto e quindi sono consapevole di parlare da una posizione doppiamente scomoda e scivolosa. Dopo questa lunga premessa, rispondo quindi da una prospettiva singola e opinabile articolando un parere che non ha nulla di definitivo. Per il buddhismo, con tutti i caveat di cui sopra, l’etica è uno dei capisaldi ma, trattandosi sempre di una posizione personale, spesso si parla di motivazione. Se la motivazione per la partenza di uno spicchio di umanità è quindi “pura” (ovvero per il beneficio di altri), allora la scelta non prevede particolari ostacoli etici. Il buddhismo sostiene che le risposte vanno cercate dentro di sé, il contesto esterno (terreste o cosmico) sono solo sfondi teatrali, per quanto sontuosi e vertiginosi. Sulla questione della missione religiosa, la risposta a me almeno sembra più semplice: il buddhismo non ha in sé l’anelito al proselitismo. Immaginarsi quindi che nel rarefatto mondo di una nave generazionale una comunità buddhista decida di partire per qualsivoglia finalità che non sia quella di aiutare la comunità stessa a mantenere o a raggiungere la Saggezza (termine scivolosissimo), mi pare la trama di un brutto romanzo. Però proprio mentre scrivo queste righe mi viene in mente il caso del Tibet, che storicamente si è comportato un po’ come una nave generazionale tenendo chiusi i confini agli stranieri per secoli. Situazione che si è poi rivelata controproducente perché ha aperto il fianco all’invasione cinese (semplificando al massimo, non avendo il Tibet voluto avere relazioni internazionali per secoli, non ha potuto poi avvalersi di pregressi trattati internazionali per difendersi dalla violenta occupazione cinese). Come dicevo sopra, il buddhismo è così antico e variegato che per ogni tesi esiste spesso una controtesi altrettanto valida!

L. G.: Collegato a questo tema c’è quello della possibile “terraformazione”, tecnica su cui Kim Stanley Robinson ha avuto modo di riflettere lungamente, nello scrivere la sua trilogia marziana. Si tratta di trasformare un pianeta, così da renderlo abitabile per la nostra specie, modificando la biochimica dell’atmosfera e del terreno, di modo da costruire un clima adatto alla sopravvivenza, un’aria respirabile e un suolo fertile. Questo però è una evidente trasposizione dell’antropocentrismo terrestre su scala planetaria, in sostanza una sorta di colonialismo. Kim Stanley Robinson è perfettamente conscio di questa condizione, e della totale assenza di empatia verso il non umano, l’alieno, che è implicita in questa formula.

E. B.: Anche in questo caso rispondo personalmente senza ambizione di voler affermare una verità buddhista valida per sempre e per tutti. Nella letteratura buddhista una pagina molto interessante è rappresentata dai Jataka, ovvero una raccolta di 547 storie delle vite precedenti del Buddha contenute nel Sutta Piṭaka del Canone buddhista. In queste storie si vedono le vite precedenti del Buddha, prima di raggiungere il Risveglio. In alcuni casi assistiamo addirittura a quando il Buddha era un animale, i valori comuni a quasi tutte le storie sono di natura morale e centrale è sempre un messaggio di compassione, altruismo, sincerità. In una di queste si narra di un coniglio (il futuro Buddha) che non esita a offrire la propria carne come cibo perché non ha altro da dare a un viaggiatore stanco e affamato. E in molte altre storie gli esempi di generosità sono dello stesso tenore. Tutto ciò per dire che da un punto di vista buddhista, non dovrebbero esistere gerarchie. La sofferenza e la gioia di tutti gli esseri senzienti sono sullo stesso livello. Bellissima è anche la figura del bodhisattva. Nel buddhismo Mahayana, il bodhisattva è colui che ha fatto voto di mettere gli altri esseri al primo posto. Normalmente, siamo esseri egocentrici. Tendiamo a pensare prima a noi stessi, la mentalità dell’“io per primo”. Per il buddhismo però la vera felicità deriva dal garantire la felicità degli altri. Il bodhisattva è quindi un essere fortemente compassionevole, che fa voto di guarire il dolore di tutti gli esseri senzienti. Da questa prospettiva la terraformazione, l’antropocentrismo, il colonialismo sono quindi diametralmente opposti a una visione buddhista. Per il buddhismo la mentalità dell’“io per primo” – e al posto di “io” possiamo mettere “famiglia”, “regione”, “paese”, “nazione”, “esseri umani” – è una visione egoistica ed egoica sulla quale poter e dover lavorare.

L. G.: Uno dei punti centrali dell’opera di Kim Stanley Robinson (e “Aurora” non se ne differenzia) è la ricerca di un futuro alternativo per l’umanità. Le due grandi ipotesi che la letteratura fantastica (e non solo) ci mostra come possibili, l’utopia e la distopia, falliscono per motivi diversi. Noi siamo vittime di questo aut aut, che impedisce agli uomini di essere realisti e di convivere con il mondo così come è, senza cercare di trasformarlo a proprio uso e consumo. Costruire utopie è un meccanismo letterario apparentemente innocuo, anzi, per molti è una fonte di ispirazione a migliorarsi, ma in realtà la visione utopistica comporta la costruzione di una gabbia ideale, da cui ci è permesso solo di vedere (e non raggiungere) un obiettivo che nei fatti è inavvicinabile. Analogo discorso, ovviamente a parti invertite, vale per la prospettiva distopica, che elimina qualsiasi possibilità dal futuro umano. Credo che questa sorta di realismo concreto abbia molto in comune con la visione del mondo Buddhista.

E. B.: Come dicevo sopra, il buddhismo è così ramificato che le generalizzazioni sono sempre complicatissime. Tuttavia, non mi è difficile affermare che il buddhismo è una religione/filosofia che fa del realismo la base della sua esistenza. Il buddhismo tibetano, per esempio, è caratterizzato da una logica del pensiero conseguente che non dà scampo a utopie e distopie se non come esercizi artistici. La meditazione analitica e il dibattito monastico sono pratiche contemplative proprie del buddhismo tibetano. La meditazione analitica è un tipo di meditazione che prevede l’uso dell’intelletto per esaminare e comprendere un particolare concetto o argomento legato agli insegnamenti. Si tratta di analizzare un concetto o un argomento in modo molto dettagliato, scomponendolo nelle sue varie parti ed esaminandone ogni frazione in modo approfondito. La meditazione analitica serve per suddividere un’idea nelle sue parti costitutive e determinare se il concetto deve essere accettato o rifiutato. Il buddhismo non è una pratica basata sulla fede, ma è profondamente radicato nella scienza, nella filosofia e nella ragione. Il dibattito è poi ancora più affascinante, in quanto è una pratica altamente sociale, in cui la comprensione di un tema viene sondata attraverso una costante messa in discussione. A differenza del dibattito di tipo occidentale, in cui l’obiettivo è convincere l’avversario, questa forma di dibattito è più dialettica e serve a portare i partecipanti a conclusioni logiche. Tornando quindi alla tua domanda, il buddhismo è scientifico, è realista, è la religione/filosofia del qui e ora. Come è noto, il Dalai Lama, il massimo rappresentante del buddhismo tibetano, ha affermato che «Se la scienza dimostra che alcune credenze del buddhismo sono sbagliate, allora il buddhismo dovrà cambiare credenze». Più realisti di così!

L. G.: L’Entropia, il decadimento, la crisi e la rinascita sono concetti che attraversano e impregnano “Aurora”. La visione dell’autore qui pare essere assolutamente in linea con il mondo del Buddhismo, e – perdonatemi se quanto dico non è preciso – la volontà di far emergere una convergenza del pensiero buddhista con la scienza più avanzata è una costante anche nel pensiero di Sua Santità il Dalai Lama. Per quanto mi è noto sono molti i romanzi inediti in Italia di Kim Stanley Robinson che affrontano questi temi, pensate di proseguire e pubblicarne altri?

E. B.: Qui, parlando di editoria tout court mi sento già più a mio agio! La volontà di Ubiliber di portare libri significativi sul mercato rimane la nostra rotta e terremo il timone quanto più saldamente possibile. Quindi sì, il desiderio di tradurre altre opere di Kim Stanley Robinson c’è tutto. Anche perché molti dei suoi temi come la riflessione sulla coscienza, sull’IA, sul cambiamento climatico sono davvero vicini a una sensibilità buddhista e la maniera in cui li tratta mi sembra possa contribuire a una riflessione sensata e duratura. Però c’è un caveat: ci definiamo spesso degli editori dall’atteggiamento sartoriale, o in altri termini siamo piccoli (pubblichiamo dodici titoli all’anno) e pensiamo che per continuare a seguire i libri in tutte le loro peculiarità non dovremmo aver l’ansia di crescere troppo, troppo in fretta. Quindi speriamo di portare altri libri di Kim Stanley Robinson in Italia ma c’è anche la consapevolezza che per fare un libro ci vuole tempo. Vi teniamo informati e vediamo cosa succede. Nel frattempo, faccio un minuscolo spot pubblicitario e, con la speranza di sorprendere ancora te e molti altri lettori, ci tengo a dirti che abbiamo appena pubblicato il primo thriller “buddhista”! Un’opera di una scrittrice americana, Barbara Graham, dal titolo Jonah lo sa, dove si parla di omicidi, di polizia, di indagini ma anche di reincarnazione, di sogni lucidi, di lama e maestri zen. Non è un romanzo didascalico, è semplicemente un bel giallo con in più temi cari a chi frequenta il mondo buddhista.

Grazie!


Immagine di copertina
Wat Phra Dhammakaya – Tempio buddista a Khlong Luang, Pathum Thani 2023