Giunto alla terza ristampa, il libro di Edoardo Camurri viaggia a vele spiegate e ottiene un solido riscontro anche da parte dei critici. Introduzione alla realtà (Timeo, 2024) sfida i canoni del trattato filosofico “classico”, ed evidentemente a ragione.

L’autore ha raccontato di averlo pensato per metà della sua vita, e infine è riuscito a trascrivere quanto gli vorticava dentro, condensando il tutto in un centinaio di pagine. Anche in questo caso spezza le regole dei tomi polverosi e – diciamolo – pesanti non solo per le bilance, regalandoci pagine leggere, profonde, ispirate e alla portata di tutti, senza mai cadere nell’ovvio.

Un libro anomalo, pirata, anarchico dunque, che non cede alla leziosità di numerose citazioni o di parole seguite dal trattino (come procedono molti filosofi, pensando così automaticamente di scrivere pensieri profondi), ma attraversa lo spazio tempo conducendo il lettore ad altre dimensioni.

Camurri, Introduzione alla realtà

Certo, chi ha familiarità con il pensiero filosofico saprà intravedere molti riferimenti. Non si tratta solo di scorgere le letture severiniane, dopo l’eternismo oltre il reale sussurra all’ente parole indicibili, né di restare affascinati dalle visioni di Mark Dyczkowski e della sua Dottrina della vibrazione. C’è dell’altro, molto altro dal punto di vista teoretico, ma non è importante. Chi vuole capire questo testo, infatti, più che sezionarlo teoreticamente dovrebbe ascoltarlo, lasciarsi guidare. Si tratta infatti di un libro sciamanico, in cui l’autore accompagna il lettore senza offrire o indicare precetti, ma offrendogli una visione, la possibilità di intendersi a un livello più alto di coscienza.

Se c’è una parola che potrebbe descrivere questa esperienza psichedelico-letteraria è gratitudine. Pierre Hadot ci ha ricordato quanto la filosofia dovrebbe essere un viaggio dell’anima, un esercizio spirituale. Edoardo Camurri cammina su quel sentiero, e di conseguenza – come ha suggerito Annalisa Ambrosio – sembra di leggere un quinto vangelo, laicissimo e pieno di spiritualità allo stesso tempo, una spiritualità che ricorda Martinetti e Capitini, preziosa nel creare una sovrapposizione quantistica tra segno e suono in grado di investire proprio il reale di cui parla. Ma cosa intende appunto per realtà? Ce n’è solo una, o persino un brutto ragno o uno sputo su un marciapiede possono aprirci territori inesplorati? Di certo c’è che l’opera vuole partire dalla frizione provata da ognuno di noi dentro il mondo: siamo stati gettati nella vita, direbbero Löwith e Heidegger,1 lo sappiamo, però pochi ricordano un particolare: siamo anche gettati nella vita, e che quel vivere siamo noi. Ogni uscio davanti alla nostra anima può aprirsi o restare chiusa, ma noi abbiamo il dovere di tentare di spalancarla, o di attraversarla se aperta. Il rischio terribile è ripetere la famosa storiella di Kafka, Davanti alla Legge, in cui un uomo di campagna attende tutta la vita di essere chiamato per entrare in un grande portone, e conclude la propria personale parabola senza solcare la soglia, aspettando invano il proprio turno. Sul finire della sua esistenza, ormai sfinito, capisce di aver sprecato la vita. Il guardiano gli urla forte nell’orecchio, prima che l’ultimo soffio scivoli via.

«Il custode s’avvede che l’uomo è ormai alla fine e, per farsi intendere da quel suo udito che va svanendo, gli urla: “Qui nessun altro poteva ottenere di entrare perché questo passaggio solo per te era stato disposto. Ora vado e lo chiudo”».

Come ogni libro iniziatico, Introduzione alla realtà parla proprio a ognuno di noi, e si rivolge sì alla parte razionale, ma soprattutto a quella spirituale (si intenda per spirito una fede o una disposizione al thaumazein, alla meraviglia/terrore) – e ci dice che non siamo fatti per il bieco utilitarismo, non dobbiamo coltivare uno sterile scientismo, ma osservare meglio cosa si nasconde dietro la realtà.

In una intervista Camurri spiega che

«[n]oi siamo solitamente abituati a chiamare “reale” ciò che non è altro che una delle possibili risonanze che esso restituisce dopo il contatto col “Thauma”. Nell’esatto momento in cui nasciamo ognuno di noi comincia a risuonare di una propria musica, tentando di rispondere al reale con un atto di sottomissione».

Abbandoniamoci dunque alle fusa del gattone della copertina, un felino psichedelico, e proviamo a fare quanto ogni buon allievo, davanti alle parole del maestro, dovrebbe fare: ascoltare, per poi proseguire il cammino interiore attraversando il fiume sulla zattera, e infine lasciarla andare.

«Or così anche appunto, o monaci, io ho esposto il Dhamma come zattera, atto a salvarsi, non a tenersi. Voi, che intendete bene il paragone della zattera, dovete lasciar andare anche il giusto, per non dire dell’ingiusto».2

Note:
1) K. Lowith, Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia, Il Saggiatore, 2015; M. Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi, 2005.
2) Alagaddupama sutta, MN 22.


Immagine di copertina:
illustrazione di Peter Max, The Different Drummer, 1968