«Es ist das Verhältnis von Mann und Weib kein anderes als das von Subjekt und Objekt. Das Weib sucht seine Vollendung als Objekt»
[«La relazione tra uomo e donna non è diversa da quella tra soggetto e oggetto. La donna cerca la sua realizzazione come oggetto»]

(Otto Weininger, Geschlecht und Character, 1903)

 

Il 19 dicembre, ad Avignone, la corte d’assise dipartimentale del Vaucluse ha pronunciato una sentenza di condanna nei confronti di 51 imputati, tutti uomini, accusati di violenza sessuale aggravata contro una donna, Gisèle Pelicot, moglie del principale imputato nel processo, Dominique Pelicot, un pensionato di 72 anni in apparenza insospettabile.

Con una copertura mediatica straordinaria e adeguata al carattere storico di questa inchiesta e del processo che ne è seguito, i fatti sono ormai di dominio internazionale: per dieci anni, dal 2011 al 2020, Dominique Pelicot ha ha somministrato narcotici alla moglie Gisèle, per permettere a degli sconosciuti reclutati su Internet di abusarne sessualmente. Si tratta di uomini dai 26 ai 67 anni, tutti provenienti dai dintorni di Mazan, un piccolo comune situato nel dipartimento di Vaucluse, dove la coppia viveva. Tutte persone socialmente inserite, provenienti da vari ambiti professionali (ex poliziotti, pompieri, elettricisti, camionisti, giornalisti, artigiani, ecc.), in moltissimi casi con famiglie e figli. I media parlano di uomini normali. In effetti, il violentatore-tipo di Gisèle Pelicot è un Monsieur Tout-le-Monde; non un marginale, uno sbandato, un soggetto con patologie psichiche note, ma un uomo… normale.

Alcuni di loro hanno commesso il fatto ripetutamente, quattro di loro sono tornati sei volte, sei due volte. Dominique Pelicot li filmava mentre abusavano di una donna, sua moglie, inerte, addormentata chimicamente, incosciente di quello che accadeva. Lui stesso ne abusava. Questi video sono stati ritrovati dagli inquirenti nel computer di Pelicot dopo che quest’ultimo era stato denunciato e arrestato in un supermercato di Carpentras il 12 settembre 2020, mentre viene sorpreso a filmare con il cellulare sotto le gonne di tre signore, e sono la prova inconfutabile delle aggressioni sessuali e degli stupri. Per il principale imputato è stato decretato il massimo della pena, vent’anni. Agli altri imputati sono state comminate pene dai 3 ai 15 anni, globalmente meno severe di quelle richieste dagli avvocati della vittima, Antoine Camus e Stéphane Babonneau, durante la requisitoria (in media per uno stupro in Francia la condanna è di undici anni e mezzo).

Gisèle Pelicot – nel frattempo divorziata dall’uomo con cui ha condiviso cinquant’anni di esistenza e con cui ha avuto tre figli, David, Florian e Caroline – ha voluto espressamente un processo pubblico. «La mia vita è precipitata nel nulla»: sono le parole della donna all’ex marito. Di questo «nulla», però, Gisèle Pelicot ha deciso di farne qualcosa, decidendo di aprire le porte dell’aula del tribunale ai media e all’opinione pubblica: «trasformare i nostri dibattiti in aula nel terreno di una presa di coscienza, di un cambiamento nelle mentalità, che possa mettere fine a una violenza di un altro tempo». Per questa ragione, anche i video, francamente insostenibili, delle violenze che quei cinquantuno uomini le hanno inflitto, sono rimasti di pubblico dominio per volontà di Gisèle Pelicot, benché, dopo una prima proiezione a porte aperte, si fosse chiesto di limitarne la visione alle sole parti in causa. È così che non solo si sono aperte le porte dell’aula di tribunale ma anche quelle della casa di famiglia comune, della camera da letto di una coppia ordinaria.

D’altra parte, Gisèle Pelicot non ha nulla di cui vergognarsi. Sono i suoi aggressori a doversi vergognare. «La honte doit changer de camp» («La vergogna deve cambiare campo»), è una frase che ha accompagnato questi tre mesi e mezzi di processo, durante i quali associazioni femministe, moltissime donne ma anche degli uomini, si sono riuniti fuori dal tribunale per incoraggiare Gisèle Pelicot, ringraziarla, esprimerle ammirazione, partecipazione, rabbia, commozione.

Non sono mancate tensioni tra i sostenitori e le sostenitrici di Gisèle Pelicot e alcuni imputati, ma anche alcuni avvocati della difesa. La presenza dei media internazionali, i cellulari delle persone presenti, l’enormità frastornante dei fatti hanno messo in difficoltà i complici di Dominique Pelicot, fermamente contrari a essere fotografati, filmati, nascosti da mascherine o cappucci. Talvolta hanno reagito con aggressività agli slogan, ai cartelli, ai canti, alle parole di sostegno rivolte alla vittima e di disprezzo rivolte a loro. E sono volati insulti generici e misogini, si sono sfiorati degli scontri fisici. Colpa delle femministe, volgari tricoteuses (nome dato durante la Rivoluzione francese alle donne delle classi popolari che assistevano sferruzzando alle riunioni della Convenzione e alle esecuzioni sotto il palco della ghigliottina) assetate di sangue. Colpa dei media che si gettano sulla vicenda e sugli accusati come sciacalli. Si attacca tutto, evitando di attaccare sé stessi.

Accanto al principale accusato, pochi tra i suoi complici hanno ammesso il crimine durante il processo, nonostante le prove schiaccianti. La maggioranza di loro afferma di non aver avuto intenzione di stuprare Gisèle Pelicot. Sostengono di aver ignorato il fatto che la donna fosse addormentata chimicamente. Eppure, nei video la vittima non solo è inerte, ma russa. Loro non la sentivano, non si accorgevano, non sapevano, affermano. Alcuni si sono accorti ma, una volta usciti da quella casa, non hanno denunciato per paura di essere coinvolti, di vedere coinvolte le proprie famiglie.

La non-intenzionalità è la linea difensiva maggioritaria. «Non c’è crimine senza intenzione di commetterlo», dichiara un avvocato della difesa insieme ad una serie di altre dichiarazioni aberranti che hanno accompagnato tutto il processo. Eppure, Dominique Pelicot sostiene di avere reclutato i suoi complici attraverso un sito ora definitivamente chiuso, informandoli della sedazione della moglie e della sua fantasia di vederli abusare di lei incosciente. Gli imputati negano, puntando il dito contro l’unico vero colpevole, il vero “mostro” – soluzione sempre comoda per scaricare la responsabilità su un unico soggetto deviante e assolvere la società – Dominique Pelicot, dipinto come un temibile e irresistibile manipolatore. Loro no, loro sono dei poveri ingenui che erano alla ricerca di un po’ di sesso trasgressivo e sono caduti nella trappola dell’orco pensionato come tanti Pollicino. E così sentiamo parlare di stupri «involontari», stupri «contro voglia», stupri «di cortesia», sotto la pressione del marito di Gisèle Pelicot, per non contrariarlo o deluderlo. È tutto documentato, nonostante appaia aberrante. Nessuno di questi uomini, poi, sembra aver mai sentito parlare di consenso. Li autorizzava il marito, alcuni di loro hanno candidamente affermato. Lui era d’accordo, a loro bastava. Nessuno di loro sembra abbia mai davvero pensato a quello che stava facendo a un essere umano inerme. Ma era per loro un essere umano inerme? Non ci hanno pensato. La donna di cui hanno abusato era un oggetto disponibile. Perché non approfittarne? Si parla di “stupro di opportunità”. Di fronte alla possibilità di abusare di Gisèle Pelicot donna, non si sono tirati indietro. Qualcosa in loro lo riteneva normale.

C’è un altro aspetto da considerare: un quarto degli accusati ha subito maltrattamenti e abusi sessuali, compreso Dominique Pelicot, cresciuto con un padre violento e incestuoso, vittima di uno stupro da ragazzino, costretto a partecipare a uno stupro da altri uomini. L’aver subito violenze o esserne stato testimone nella propria infanzia è uno dei fattori individuali citato da un rapporto dell’OMS tra le cause dello sviluppo di comportamenti violenti. Ma questo legame, che non è comunque automatico, vale soprattutto per gli uomini, infinitamente meno per il grandissimo numero di donne vittime di violenza. Queste ultime non tendono a diventare abusanti, violente, predatrici sessuali, perché la loro educazione non lo facilita; al contrario, lo inibisce. Il passaggio all’atto negli uomini è favorito dall’educazione di genere e dal modello, ancora oggi radicato e produttivo, di una mascolinità fragile, ottusamente autocentrata, disinteressata all’esercizio dell’introspezione e all’empatia verso l’altro, allenata a riconoscersi nei rapporti di dominio, in particolare sul corpo femminile, a cui si disconosce soggettività, dignità, coscienza. Continuano insomma a risuonare indisturbate le parole di Otto Weininger, che nel 1903 pubblicò un libro che ebbe un enorme successo di pubblico, Sesso e carattere, nel quale il filosofo austrico teorizzava l’inferiorità naturale della donna, un nulla di fronte a un soggetto, quello maschile, in cerca di realizzazione. E forse non è un caso che un nulla sia diventata la vita di Gisèle Pelicot, come lei stessa ha affermato.

Gli stupri di Mazan – curiosa etichetta giornalistica che scotomizza il nome della vittima e dei suoi aggressori per spostare l’attenzione su un incolpevole toponimo – sono il prodotto di una cultura e di un’educazione che ancora legittima la possibilità, nel 2024, che un uomo cosiddetto normale si ecciti alla prospettiva di compiere atti sessuali su una donna incosciente e passi all’atto con il sentimento di non fare nulla di grave e comunque nulla di penalmente rilevante. E così la maggioranza degli imputati al processo Pelicot ha negato di avere commesso uno stupro e di essere, de facto, degli stupratori. «È troppo pensante da sopportare», ammette uno di loro.

Immaginiamo quanto sia pesante da sopportare per Gisèle Pelicot, i suoi figli e tutta la sua famiglia. Nell’archivio di Pelicot, infatti, sono state ritrovate anche fotografie delle due nuore scattate in un bagno a loro insaputa e immagini della figlia in lingerie. Caroline Durand non ricorda nulla, non riconosce neppure gli indumenti né il luogo nel quale si trova, cosa che lascia ipotizzare che anche lei sia stata sedata. Il padre nega fermamente di averle fatto violenza, tuttavia, quelle foto esistono e sono la prova che qualcosa è avvenuto. Nell’impossibilità di conoscere la verità, carica di rabbia ma, come sua madre, decisa a dare senso alla sofferenza, Caroline Durand ha fondato un movimento e un’associazione M’endors pas – Stop à la Soumission Chimique per combattere contro il pericolo della sottomissione chimica subita da sua madre e da lei stessa, e per aiutare le vittime ad ottenere giustizia e sostegno.

Se è vero che non tutti gli uomini sono violenti e stupratori, è pur vero che sono tutti uomini. In Francia, ogni due minuti e mezzo avviene uno stupro o un tentativo di stupro. Tuttavia, il livello di consapevolezza rispetto alla violenza patriarcale è aumentato. Bisogna capire com’è possibile, quali sono le ragioni, e la giustizia non può ancora rispondere efficacemente. Le pene individuali, senza un progetto educativo e di cure adeguato, non producono risultati. Non ci sono mostri buoni per la gogna, si tratta piuttosto di capri espiatori. Lo stupro è un crimine che deriva dalla volontà di dominio, favorito da una società ancora fortemente diseguale, ingiusta, asimmetrica. Bisogna lavorare, tutte e tutti insieme, sul contesto.


Immagine di copertina:
Laika, Smash the Patriarchy, mural, Milano.

 

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