Contro natura di Lorraine Daston (Timeo, 2024) ha un merito indiscutibile: quello di approfondire il concetto di Natura con la n maiuscola, centrale nella storia della scienza e trasversale a tutte le discipline scientifiche così come a una buona fetta della filosofia e della storia del pensiero, e di farlo svelando il profondo intreccio che è sempre esistito fra scienza e morale. Ma un titolo così altisonante non può non suscitare aspettative altrettanto ambiziose, ed è proprio nello iato fra le aspettative e la loro realizzazione che Contro natura perde terreno.
Daston, autorevole storica della scienza, nei suoi studi si è principalmente concentrata su quel momento a cavallo tra Sei e Settecento che segna l’emergere di un’idea di scienza come sapere certo fondato su dati, esperimenti e fatti, in discontinuità con la filosofia naturale rinascimentale. Vale la pena ricordare le due opere monumentali redatte e curate a quattro mani con un’altra importante storica della scienza come Katharine Park, Wonders and the Order of Nature, che copre un arco di tempo vasto e significativo (dal 1150 al 1750, dal Basso Medioevo all’Età dei Lumi) e affronta, in nuce, alcuni temi presenti anche in Contro natura – come il rapporto fra natura e cultura, natura e arte, fra i capisaldi del pensiero occidentale – e il volume dedicato all’Età Moderna del The Cambridge History of Science. Insieme a Fernando Vidal ha curato invece la raccolta di saggi The Moral Authority of Nature, contribuendovi con un focus specifico sull’Illuminismo che già tradisce le simpatie kantiane così evidenti in Contro natura.
Daston muove dunque da un bacino di conoscenze estremamente ricco, che in Contro natura utilizza per raggiungere un obiettivo del tutto particolare a partire da una constatazione, se vogliamo, alquanto banale: il richiamo alla Natura e a un ordine naturale nel pensiero scientifico e filosofico occidentale è onnipresente, pervicace e ricorsivo. Su questo dato di fatto, l’interrogativo che si pone è, semplicemente: perché?
Per rispondere alla domanda, Daston prende in esame tre diverse macro-tipologie di richiami possibili alla Natura, da lei individuati e suddivisi in questo modo: la Natura come natura specifica, la Natura come natura locale, e la Natura come legge naturale universale. Stiamo parlando di tre grandi classici della storia della scienza, quali la tassonomia, o meglio, l’impostazione tassonomica che da Aristotele in poi e soprattutto con il naturalismo settecentesco è stata linea guida della biologia; un aspetto specifico del connubio plurisecolare tra medicina e politica, ovvero l’idea ippocratica, poi ripresa da Bodin e da tanti teorici dello Stato fra Cinque e Seicento, che a ogni luogo del globo corrispondano alcune caratteristiche umane, fisiche e morali; e nientemeno che l’universalità delle leggi di natura alla base della concezione della fisica moderna (e del diritto internazionale) da Galileo ai giorni nostri.
Già dall’impostazione generale del discorso di Daston si possono notare le potenzialità ma anche i limiti del suo approccio. Per chi è digiuno di storia della scienza e di indagini sulle macrocategorie del pensiero occidentale la sua sintesi è sicuramente molto utile e precisa: Daston ha la capacità di mettere a fuoco gli snodi essenziali dell’evoluzione dei tre elementi oggetto della sua indagine, individuando con chiarezza le figure chiave e la bibliografia minima necessaria a un neofita per orientarsi.
Ma i paradigmi – per dirla con Kunn – che Daston delinea non sono affatto obiettivi e neutrali. Nel corso dei secoli, oltre a fare da volano al progresso scientifico, essi hanno anche prodotto danni politici irreparabili: basti pensare alle conseguenze che la iatropolitica dei luoghi ha avuto sulle teorie inerenti la razza e sulla costruzione scientifica del discorso razzista. In Contro natura le cause e le conseguenze del discorso sulla Natura non vengono mai veramente messe sotto la lente d’ingrandimento: l’excursus di Daston, per quanto ampio, si limita a riportare fedelmente la storia del pensiero occidentale e la sua evoluzione dal Cinquecento a oggi senza analizzarne mai i presupposti sociali. E a quanto storicamente si è imposto come concezione dominante di Natura, con tutte le ripercussioni che ciò ha avuto nella vita dell’umanità, Daston si limita a opporre ipotetici paradigmi di segno opposto, con la scusa che in natura esiste tutto e il contrario di tutto, e che appellarsi alla natura per giustificare una determinata morale o una determinata condotta politica – com’è stato e viene tuttora ampiamente fatto soprattutto dalle forze reazionarie – è filosoficamente inutile, poiché confutabile in qualsiasi momento dalla stessa vastità della materia.
Il punto, insomma, per Daston non sarebbe dunque contrastare le fallace naturalistiche, o individuarne le motivazioni contingenti – politiche, economiche, ideologiche in senso lato – ma comprendere i moti profondi dell’animo umano che ci spingono a cercare nella Natura conferma delle nostre convinzioni etiche e filosofiche. Moti profondi che però si rivelano, nell’analisi dettagliata cui è dedicata la seconda parte del saggio, alquanto miseri. L’ineludibile riferimento alla Natura del pensiero occidentale deriverebbe infatti dalla grande copia di esempi che essa fornisce, e dunque da un’abbondanza rappresentativa che la rende bacino prediletto di metafore e similitudini; ma, soprattutto, dalla coazione ordinatrice dell’umanità, dalla sua vocazione alla normatività, secondo un presupposto kantiano debitamente omaggiato in apertura del saggio:
«L’impulso umano a conferire significati alla natura è spiegabile grazie a due delle osservazioni finora fatte a proposito dell’ordine: la normatività ha bisogno di ordine; la natura fornisce esempi di qualsiasi ordine concepibile» (p. 82).
A Daston interessano le motivazioni di fondo, esistenziali se non proprio psicologiche, che hanno spinto generazioni e generazioni di uomini a richiamarsi alla Natura per sostenere teorie scientifiche, visioni filosofiche e morali, impalcature teologiche, strutture politiche e rappresentazioni artistiche del mondo umano. Motivazioni che Daston individua in una componente «cognitiva», e che si nutrono di passioni definite «dell’innaturale», che «fondono insieme sentimenti e giudizio intellettuale» (p. 55).
L’orrore, il terrore e lo stupore che ci colgono ogni qualvolta siamo di fronte a un elemento contro natura («il lato soggettivo della percezione oggettiva di un disordine così estremo da far vacillare perfino la natura», p. 56), e che per Daston sono addirittura indizio di alcune “intuizioni morali fondamentali”, sono però un prodotto complesso di epoche e convinzioni che nell’analogia con la Natura trovano forse uno sbocco, certo non una causa; e la componente cognitiva del richiamo alla Natura è anch’essa pienamente culturale.
Anche i legami tra normatività e Natura, che Daston mette giustamente a fuoco come linea d’indagine potenzialmente prolifica, sono trattati con fare troppo sbrigativo, dando quasi tutto per scontato e non portando, pertanto, a conclusioni interessanti. Per fare un esempio di come la stessa faglia è stata percorsa con maggior successo in altre sedi, il giurista francese Jacques Chiffoleau, in un saggio dallo stesso titolo di quello di Daston – Contra naturam – traccia le fortune della Natura all’interno del panorama giudiziario europeo nel Medioevo, sottolineando come prima cosa l’innovazione che la cristianità ha apportato al concetto di Natura all’interno dell’ambito di massima normatività – o, se vogliamo, di normatività per eccellenza: la legge. Il cristianesimo, infatti, considerando la Natura come creazione divina, la pone quale termine di paragone delle leggi umane in un modo che era estraneo al diritto romano; per usare le parole di Yan Thomas (presente con un altro saggio, Imago naturae, insieme a Chiffoleau nello stesso volume: Yan Thomas, Jacques Chiffoleau, L’istituzione della natura, Quodlibet 2020), «la legge naturale del cristianesimo tardoantico ‘trasferisce nella natura, essa stessa creata dal legislatore divino, gli interdetti che il diritto romano riconosceva alla sola legge umana’» (p. 23). Insieme alle modifiche al concetto di Natura, cambia anche, sottolinea Chiffoleau, il concetto di contro natura, con variazioni significative e, per quel che riguarda la storia sociale e politica occidentale, incredibilmente durature – basti pensare alla connessione tra atti contro natura, eresia e stregoneria operata in età moderna, che tanta parte ha avuto nella nascita del capitalismo.
Ecco dunque un esempio lampante di intreccio tra Natura, normatività e moralità che presenta aspetti ben più complessi di quelli brevemente delineati di Daston. Pur senza pretendere dalla studiosa un’esaustività evidentemente impossibile per un tema tanto vasto, qualche cautela in più e un affaccio prospettico sui contributi di altre discipline – dalla giurisprudenza alla medicina, fino ai floridi studi di genere e post-coloniali – non avrebbe guastato. Soprattutto considerando che se ad esempio è vero che l’idea di Natura come legge universale è alla base ancora oggi dei diritti umani, è vero pure che la Natura è stata spesso, e viene oggi ancora più spesso, utilizzata per giustificare il restringimento di questi stessi diritti e l’esclusione di intere categorie di persone: migranti senza documenti, persone razzializzate, omosessuali, lesbiche, persone trans e intersex, persone disabili e così via.
Per prendere ancora a prestito le parole di Chiffoleau,
«Anche il semplice abbozzo della storia medievale di questo breve sintagma, contra naturam, manifesta con tutta evidenza che il riferimento alla Natura, così frequente e decisivo nell’evoluzione occidentale, non è univoco e nasconde talvolta delle realtà assai oscure. Legato strettamente all’Onnipotenza, è dotato di effetti istituzionali e ideologici considerevoli, che partecipano appieno alle trasformazioni politiche, fino a oggi. Ma essi possono anche, in qualche caso, apparire spaventosi, soprattutto quando li vediamo riemergere, non così lontano da noi, in contesti nei quali tutte le acquisizioni della democrazia sono combattute in maniera violenta o indiretta» (p. 101).
Il suggerimento più interessante della seconda parte del saggio di Daston ci viene quando la studiosa si riallaccia all’opera del suo mentore, Ian Hacking, nell’ambito del dibattito sul realismo scientifico, e introduce il grande tema della necessità umana di una rappresentazione visiva come fondamento della scienza moderna e contemporanea («per essere davvero reale, una cosa deve apparire», p. 88); quando cioè svela, per un istante, che alla base del discorso scientifico sono ancora presenti presupposti ideologici e metafisici latenti, che i richiami alla Natura hanno il pregio di far emergere.
In conclusione, Daston nota che «varrebbe la pena indagare più a fondo come mai talvolta – non sempre – ci si rivolge all’ordine naturale per giustificare, oltre che per rappresentare, l’ordine morale» (p. 91) – come lei stessa ha fatto, peraltro, in un articolo del 1992 dedicato alla storia della naturalizzazione dell’intelletto femminile (The Naturalized Female Intellect), che prendeva le mosse dalla questione di genere per tracciare un’interessantissima storia della naturalizzazione in quanto tale. E varrebbe la pena davvero, aggiungo io, poiché è esattamente nella domanda a questo “perché” che sta il nocciolo centrale della questione Natura: nelle motivazioni specifiche, storiche, economiche e politiche che hanno portato agli utilizzi morali e soprattutto prescrittivi dell’analogia naturale, e nelle conseguenze che questi hanno avuto sullo sviluppo del pensiero, oltre che sulla storia dell’umanità in generale.
Contro natura di Lorraine Daston è dunque un ottimo strumento, pieno di intuizioni brillanti, per un primo approccio al vasto tema dell’utilizzo sociale della Natura e della sua storia di costrutto culturale, ma non riesce a soddisfare appieno le aspettative che suscita. A prevalere, nell’impressione finale, sono i suoi limiti in termini di approfondimento, analisi e indagine del concetto di Natura sia da un punto di vista storico e filosofico, sia rispetto alla complessità e centralità che questo concetto sta assumendo all’interno del panorama contemporaneo.
—
Immagine di copertina:
Lucian Freud, Natura morta con aloe, 1949