Un esordio poetico può essere incerto e poco consapevole e riunire testi magari notevoli ma spuri e disorganici tra di loro, costituendo di fatto una raccolta senza struttura, più simile a un’antologia che a un progetto di scrittura. Non è certo ciò che accade nel primo libro poetico di Jessy Simonini, Campi di battaglia (Sensibili alle foglie, 2021), che si caratterizza per la singolarità di riuscire a narrare la genealogia famigliare e politica dell’io con il suo corredo di esperienze e ricordi, valicando la sfera dell’intimismo perché ogni vicenda privata rivela il suo risvolto politico, la sua carica di critica sociale ed economica. L’antico slogan femminista degli anni Settanta, «il personale è politico», viene rispolverato perché solo di ciò che si esperisce sul corpo si può parlare e perché ciò che la società può far subire a un individuo (sfruttamento, segregazione, repressione, violenze) è un attacco politico e rivela le storture su cui essa si regge, e tanto male è derivato a noi dal misconoscere questa verità. Ora io credo che proprio il personale – disseminato a chiare lettere in tutti i testi attraverso un dettato piano non privo però di complessità a partire dai numerosi inserti pluristilistici e da riferimenti a fatti e ad avvenimenti storici espunti o sottaciuti dalla storia ufficiale – rende possibile il miracolo di una poesia politica e sociale che non cade mai nell’ipocrisia. Chi scrive non è certo il poeta borghese in anno sabbatico di cui parlava Adrienne Rich e a cui si fa esplicito riferimento in uno dei testi proemiali («Rich parla del marxista d’accademia | in anno sabbatico con gli occhi | annebbiati di Gramsci», J. Simonini, Campi di battaglia, 2021, p. 25), ma è un poeta che parla degli ultimi e di chi la società borghese non vuole vedere né ascoltare («una poesia che sia viva e forte, e che parli di loro. Della vita di chi ruba fra gli scaffali, della giornata di una cassiera o di un magazziniere, di chi chiede l’elemosina all’uscita», J. Simonini, Campi di battaglia, 2021, p. 18) e lui stesso appartiene per genealogia familiare agli ultimi. Certo c’è stato il riscatto culturale e sociale ma nel sangue scorrono i ricordi e le esperienze di chi è stato escluso dal banchetto del capitalismo e lo ha subito («Oggi ho capito che nessuno di loro | e nessuno di noi | mai è stato è sarà un giorno | padrone», J. Simonini, Campi di battaglia, 2021, p. 49).

Vi è molta rabbia e vi è molto amore (parole che hanno altissima occorrenza nella raccolta e che si percepiscono chiaramente dal tono dei testi e dai temi trattati) e del resto occorrono sentimenti forti per scendere sul campo di battaglia e combattere patriarcato e capitalismo attraverso una lotta che sceglie l’arma delle parole e dell’immaginario ma che non è per questo priva di violenza. Per decostruire un mondo e un modello socio-economico si deve puntare il dito, riconoscere i carnefici e le colpe («Oggi scrivo su un foglio | fra il latte e il lievito da comprare domattina | tutti i nomi dei responsabili», J. Simonini, Campi di battaglia, 2021, p. 48) ma poi da lì occorre ricostruire un’alternativa o perlomeno immaginarla. Infatti, una volta che si è riconosciuto che ogni gesto e pensiero è stato colonizzato dal nemico si deve decolonizzare il proprio sguardo e ciò richiede coraggio e una pratica serrata dell’autocoscienza che possa condurre, attraverso anche la coscienza di classe, alla propria autodeterminazione. Di certo il coraggio non manca a Jessy Simonini come si può vedere dal suo libro articolato in tre parti: un proemio politico/poetico (Il catalogo della Gioia Tauro); una sezione dedicata al familiare politico (Albumi di famiglia); e un’altra al personale politico (Campi e campetti). Il catalogo della Gioia Tauro – dopo aver delineato con chiarezza di chi si scrive e perché, aver illustrato la propria politica/poetica rivoluzionaria, aver scelto il campo di battaglia e aver adottato le armi poetiche rivoluzionarie – esplicita l’intenzione di fare un discorso sul potere e la sua pervasività e di contrapporre alla poesia civile e borghese una poesia «viva e forte» scritta da chi entra «in comunione con la sofferenza» e da chi spera che «i popoli […] facciano definitivamente saltare il banco» (J. Simonini, Campi di battaglia, 2021, pp. 17-18): la non connivenza con il potere e il desiderio sincero di vederlo crollare infine su se stesso è proprio ciò che rende la poesia di Jessy Simonini diversa da certo moralismo di facciata. Si dichiara infatti di essere lontani dalla solita poesia politica, ipocrita e destinata a non lasciare alcun segno sul presente:

«e anche ora non serve
la nostra poesia politica
l’indignazione smaltata
di chi da vent’anni riposa
in un lungo anno sabbatico
o in una infinita quarantena»
(J. Simonini, Campi di battaglia, 2021, p. 25)

Alle poesie proemiali, che hanno situato l’autore e i suoi testi sancendo la scelta del proprio campo di battaglia, seguono le due vere e proprie sezioni (Albumi di famiglia e Campi e campetti, i titoli sono tutti quanti dei calembour quindi), nelle quali Jessy Simonini delinea il proprio discorso che è intimo e politico allo stesso tempo. In Albumi di famiglia, come si può già intuire dal titolo che innesta la frase di Lenin («per fare una frittata, occorre rompere le uova») e la citazione di un articolo di Rossana Rossanda apparso sul «manifesto» a proposito del linguaggio delle Brigate Rosse 1 («chiunque sia stato comunista negli anni cinquanta riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle Br. Sembra di sfogliare l’album di famiglia»), siamo sul versante del familiare politico dove per famiglia si intende al tempo stesso la famiglia politica e quella individuale, genealogica. Nella terza sezione si passa invece al personale politico e si afferma il binomio da combattere, il patriarcato e il capitalismo, e la conseguente necessità di decolonizzare lo sguardo, di rifondarsi come individui dopo aver riconosciuto che il capitalismo e il patriarcato sono dei potenti filtri ottici ai quali siamo stati sottoposti dalla più tenera età. Questa battaglia si deve giocare, oltre che sul campo politico e sociale, anche sulla dimensione individuale e dell’autocoscienza. In questa ultima sezione, ancora più della precedente, si attua lo slogan femminista «il personale è politico» perché è a partire dalla propria soggettività che ci si costituisce come soggetto rivoluzionario.

Jessy Simonini nei suoi discorsi poetici e nelle tre prose che aprono rispettivamente le tre parti di cui è composta la raccolta preleva fatti e avvenimenti espunti dalla storia con la volontà precisa di recuperare una cultura alternativa rispetto a quella dei vincitori – dove i vincitori sono il capitalismo e il patriarcato usciti indenni anche dal decennio contraddittorio e rivoluzionario degli anni Settanta che più è parso scuoterli ed eroderli. E se la presenza degli anni Settanta risalta immediatamente all’occhio del lettore (basti pensare a uno dei due eserghi all’intera raccolta che è appunto la citazione di un passo di una lettera di Margherita Cagol ai genitori che chiarisce la propria scelta di prendere parte alla lotta armata; o alla prosa Molto dopo Pecorile; alla poesia dedicata a Prospero Gallinari; oppure a quella che si riferisce all’irruzione di Via Fracchia) bisogna notare che in realtà Simonini revisiona più di un secolo di storia italiana: a cominciare dagli etiopi trucidati a Dogali dagli àscari – a riprova che il colonialismo buono degli italiani è una falsa credenza –; passando poi per gli eventi cruenti e sottaciuti dell’immediato dopoguerra come la strage di Portella della Ginestra o la strage delle Fonderie di Modena («che la repubblica sia morta altrove | scegli tu, Portella o le Fonderie di Modena, | di certo non in via Caetani», J. Simonini, Campi di battaglia, 2021, p. 34); l’opposizione delle mondine alla politica di Scelba; l’assemblea studentesca a Bologna nel 1968 alla quale partecipò Sartre; l’evasione di Rovigo; la strage di Bologna del 2 agosto; l’uccisione di Marco Biagi:

«Non voglio manomettere la casa dei morti
solo capovolgere la lezione stabilita
dai vivi, il marmo bianco del sudario

giuslavorista, uomo esemplare

perché altri decidono cosa è esemplare»
(J. Simonini, Campi di battaglia, 2021, p. 40)

per giungere infine alla rivolta di Rosarno… Il ricordare e ripensare questi eventi va di pari passo con la necessità di recuperare le lezioni di Rosa Luxemburg, Alexandra Kollontaj, Rossana Rossanda e Maria Margotti, ovvero il comunismo rivoluzionario, femminista ed eretico, e l’attivismo delle mondine. Nel dettato, apparentemente piano dei testi, si inseriscono, oltre a riferimenti precisi a una storia alternativa a quella sancita dai vincitori, inserti letterari colti, canzoni pop, discorsi prelevati dal quotidiano, frasi in lingua inglese, francese, spagnola e in dialetto, scritte osservate nei bagni, graffiti, ordinanze comunali, ecc., accogliendo con generosità tutto ciò che può essere funzionale al proprio discorso e all’immaginazione che crea un’alternativa al modello culturale e politico dominante, una lingua che con precisione e chiarezza spiega ma non rinuncia a tessere immagini che esemplificano il discorso e lo rendono vivo. Nel testo che segue, constatato che il presente si muove nella palude del neocapitalismo, si ripone fiducia nella potenza rivoluzionaria dell’amore che recupera esperienze di opposizione per trarre nuova linfa e non cedere alla resa ideologica:

«Siena, 20 agosto 2019: una sola poesia d’amore

Quando i padri sono stanchi
L’odio ci passava sopra,
ma non ci separava.
(G. Nannini, “California”)

Si può considerare l’amore come parte
di un perfetto piano rivoluzionario:
stretti da un’antica simmetria
anche ora che falce e martello
sono diventati punti di domanda
e che tutto ci spinge alla resa
messi in minoranza dal respiro     duro e franco della storia,

amore che oggi scintilla
alimentato da rabbie ottuse
nella memoria di altre assemblee
a cui non siamo potuti andare
dove altri hanno deliberato
svolte evitabili o svolte necessarie

nelle sere future quando
tutte le immagini si disperderanno
come gli studenti in balia delle cariche
sempre per amore trattengo questa
foto di Sartre a Bologna fra gli studenti
di psicologia in assemblea nel ’68:

c’è una frase di Mao che ristagna     dietro, sulla lavagna nera
a chiarire l’identità degli intellettuali rivoluzionari

ora sulla lavagna si accampano
altri nomi, l’amore di lontano
fra un cavaliere e la sua donna,
il copista trascrive: malgrado le inferriate
riempiendosi di piaghe Lancillotto riuscì
a penetrare nella camera della regina

l’antico francese non dice mai tutto     è una lingua smaltata nel respiro
affaticata dal peso delle copie
e chi narra decide di tacersi
perché non può dire tutta quella meraviglia

per alcuni questo incontro è un’alba
ma per me è una scena di evasione
come quella di quattro campagne
dal piccolo carcere di Rovigo:

grazie a voi ho capito che l’amore
è il gesto fiero del ferro che si piega
mentre gli altri intorno cercano invano
di galleggiare soli in quella stolida
e opaca età del rame.»
(J. Simonini, Campi di battaglia, 2021, pp. 41-42)

Come si può ben vedere il ricordo delle assemblee studentesche del ’68 bolognese e l’evasione organizzata da Sergio Segio e dal Nucleo di Comunisti per liberare Susanna Ronconi, ex brigatista, e altre tre detenute sono collegate tra loro dalla rievocazione di Lancillotto che, non temendo il dolore né il pericolo, giunge infine nella camera di Ginevra. È significativo che proprio questo testo, intriso com’è di un amore dolente, apra la galleria di ritratti familiari genealogici (il nonno, la nonna, la madre, il padre) e putativi (Rossana Rossanda, eletta a matriarca alla quale rivolgere venerande cure, come nota Maria Luisa Vezzali nella sua postfazione 2):

«E io che vorrei pettinarti, aiutarti
nelle incombenze di ogni giorno
i gesti fragili, alzarti e camminare,
pulirti i lati aperti della bocca
amara di saliva e tè al limone.»
(J. Simonini, Campi di battaglia, 2021, p. 65)

Nell’ultima sezione, Campi e campetti, il panorama si amplia e intervengono riferimenti alla storia internazionale (ad esempio lo sciopero dei maestri in Messico nel 2006 e le rivolte in Francia contro la polizia, rea di avere represso nel sangue le proteste delle banlieu), così come appare l’opposizione al patriarcato, strettamente associato al capitalismo. Se in Albumi di famiglia il discorso intimo era innestato sul discorso politico, in Campi e campetti maggiore è il lato personale che però non mette fuori fuoco il discorso politico, anzi. Se i campi (sottinteso di battaglia) riguardano per lo più la dimensione politica e sociale, i campetti (come già fa presagire l’uso del vezzeggiativo) saranno luoghi di battaglia individuale, nei quali l’opposizione è mossa da un processo di autocoscienza che investe diversi ambiti della persona, primo fra tutti la scelta di vivere liberamente la propria sessualità e ripensare le costrizioni imposte dal patriarcato. La decolonizzazione dell’individuo e dello sguardo pertanto passa dalla scelta di combattere il binomio patriarcato/capitalismo in tutte le sue forme, anche in quelle più subdole e non immediatamente riconoscibili:

«Resistono le scritte di una mano ignota
[…] precise nel consigliare rapporti
non più retti da pratiche coloniali,     corpi liberati in via definitiva     dai gesti ostili del rompere e penetrare
meglio se fino in fondo, fino al sangue,
perché qui siamo tutti maschi e così
ci hanno sempre insegnato a fare.»
(J. Simonini, Campi di battaglia, 2021, p. 80)

In questa sezione quindi la politica non è separata dalla scoperta della propria sessualità e in questo riconoscimento è rilevante il richiamo al femminismo della differenza degli anni Settanta e al movimento omosessuale. Non per nulla la sezione si apre con una prosa dedicata a Mario Mieli (autore nel 1977 degli Elementi di critica omosessuale), nella quale Simonini riprende il sonetto dantesco Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io, e lo utilizza per creare una compagnia di maestre e maestri che divengono le interlocutrici e gli interlocutori di un nuovo modo d’amare:

«Mario, io vorrei che tu, e Carla e io, ma anche tutte le altre: Porpora e Marcella, Adrienne e Monique, Valerie e Silvia, mettiamoci poi anche Federico e Massimo, pure Dalida e la Sabrina, vorrei che fossimo prese per incantamento e messe in un vasel o anche in una stanza piena zeppa di merletti, a dirci ogni giorno parole favolose. E con queste parole creare nuove favole e poesie d’amore che invieremo a chi amiamo […] Forse il confino sarà breve, ma in quella stanza di merletti ci impegneremo a spaccare in due, a suon di picconate e favolosità, il patriarcato e il capitale.
Perché solo senza il patriarcato e il capitale, potremo davvero riprendere ad amare»
(J. Simonini, Campi di battaglia, 2021, p. 73).

Ed è proprio grazie alla lotta e a un’immaginazione rivoluzionaria che si può pensare un nuovo modo di vivere, un’economia alternativa e una libertà che sia il risultato di un’autodeterminazione. Immaginazione e lotta che passano attraverso anche la creazione di una tradizione altra, decolonizzata, che prevede tra i testi fondatori le poesie di Adrienne Rich e gli scritti di Annie Ernaux, in particolare il testo La place, e un’attenzione alla letteratura delle donne e a tutte quelle tradizioni letterarie escluse dalle accademie e dal canone sancito da maschi bianchi ed eterosessuali. Si rivolge così lo sguardo a ciò che è stato omesso, compiendo un volontario recupero delle voci divergenti, modellando un anticanone («I gesti al femminile sono stati | espunti dalla storia […] || se scrivo è per dare luce ai gesti loro», J. Simonini, Campi di battaglia, 2021, p. 61). Avviene pertanto per la letteratura quanto attuato per la storia, ovvero la pratica di un recupero di ciò che è finito nell’ombra e un suo ripensamento critico, lontano dalla visione dominante. Di certo la pratica di revisionismo storico (da non confondere con la sua accezione negativa che è più propriamente pseudostoria, negazionismo o addirittura teoria del complotto) è immediatamente palese nei testi che ripensano le vicende delle Brigate Rosse dal momento che risulta ancora difficile fare discorsi divergenti su quell’esperienza, liquidata e banalizzata attraverso il solo uso di categorie morali, estendendo poi tale giudizio morale a tutte le esperienze degli anni Settanta, decapitando così i progressi ottenuti nella lotta al patriarcato e all’eteronormatività. Come si è visto però a un’analisi più attenta sono molti altri gli eventi storici ripensati dall’autore.

Concluderei con qualche osservazione relativa alla presenza del corpo nella raccolta Campi di battaglia (che, en passant, è una citazione da Adrienne Rich: «These are other battlefields»). Il corpo per Simonini diviene uno spazio politico di resistenza al patriarcato/capitalismo, ed è proprio dallo spazio del corpo che si può veicolare il dolore di chi non può parlare perché condannato a stare al di fuori della storia e dello sguardo, attuando quindi l’elogio del margine teorizzato da bell hooks 3. La voce dell’autore parla così al posto di chi non ha voce e non può parlare («fare dei nostri corpi scavati strumenti | una cassa d’espansione per il dolore | degli altri dove risuonano le voci | nostre e di tutti i marginali», J. Simonini, Campi di battaglia, 2021, p. 82) e la poesia che ne deriva si innesta su campi di battaglia e su zone da difendere (la francese ZAD, zone à défendre, forma di occupazione del territorio in opposizione a progetti speculativi). Un esordio quindi quello di Jessy Simonini che non lascia indifferenti e si pone su un cammino ben preciso e riconoscibile di scrittura poetica.

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Note:

1) Rossana Rossanda, «il manifesto», 28 marzo 1978.
2) Maria Luisa Vezzali, Sui campi di battaglia. Postfazione, p. 96, in J. Simonini, cit.
3) Cfr. bell hooks (a cura di Maria Nadotti), Elogio del margine e scrivere al buio, tamu, 2020.

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Immagine di copertina:
Koshu Kunii, Manifestation contre la loi sécurité globale, dicembre 2020 (Unsplash)