[Pubblichiamo le note introduttive di Dario Voltolini e Marino Magliani tratte da L’olmo e i suoi racconti, AA.VV, Fusta editore, 2023. Per gentile concessione dell’editore]
Un sacco di natura, poi per fortuna
Dario Voltolini
L’amico Marino, che una ne fa e cento ne pensa, mi comunica che faremo qualche giorno in posti molto belli con camminate nella natura e letture e un tema, per esempio “descrivere il paesaggio”. Io nicchio, perché le camminate io le temo. Quelle letterarie più di tutte. Marino però mi rassicura, dice che anche uno come me riuscirà a farle, sono quasi tutte in piano. Con la preoccupazione di quel “quasi” che mi tarla in testa, accetto. Ci saranno delle persone che si iscriveranno, ci saranno dei testi che scriveranno, ci sarà un volume in cui appariranno. Ed eccolo qui, il volume.
Il gruppo di persone è molto simpatico, in quanto composto da persone molto simpatiche. Io, ormai da qualche tempo, non appena si parla di letteratura, o di scrittura o – peggio ancora – sento leggere dei testi, ecco: io mi assopisco.
Ma nonostante questo sono giorni belli, speravo che non mi avessero proprio tutti visto assopirmi: speravo invano.
Non c’è niente da fare, la natura ha solidi argomenti per piacere, affascinare, parlarti al cuore attraverso i cinque sensi. E davvero i dislivelli erano abbastanza superabili, tant’è che sono qui a dirlo. C’erano dei funghi bellissimi lì a un passo, e panorami struggenti là nelle estreme lontananze. Persino il mare faceva capolino.
Le persone, dedite non si sa perché alla scrittura, le vedevo legare tra loro, con agio e senza attriti. Un bel gruppo, potremmo dire una bella classe, e un bravo insegnante (Marino).
Ma per fortuna, tornando da borghi inerpicati con costruzioni di pietre impastate di vegetazione e profumi salubri, passiamo accanto alla meravigliosa, struggente, affascinante Cartiera abbandonata. Ah! natura, quanto ci hai dato, ma oh! vestigia urbex quanto sei bella, nella rovina postindustriale del Paese, nelle stanze improvvise con le cassettiere ancora piene di oggetti-reperto, nelle geometrie degli ampi spazi dove il lavoro ha così tanto pulsato, nelle luci che trapassano i finestroni, nelle balaustre che corrono nei perimetri interni!
Così, per rifarsi dall’esagerazione di benessere balsamico della natura, uno sparuto gruppo penetra nel residuo industriale.
Niente: colpo al cuore.
Questo ha reso per me completa l’esperienza ormeasca. Questo e la collezione di testi che ci sono poi giunti dai partecipanti: quando vedo che a tante teste corrispondono altrettante scritture, io sono felice. Lo sono perché il mio timore è quello di dare indicazioni di scrittura che finiscano per omologare i risultati di chi le prendesse sul serio. Anche per quello non ne do quasi nessuna, tranquillo e sereno per il fatto che ci pensa Marino a fare (anche) quel lavoro. E Marino per natura non può suggerire nulla di omologante, essendo lui il contrario dell’omologato.
Quindi queste poche frasi non sono una postfazione, una prefazione, niente che abbia a che fare con la parola “fazione”. Sono un ringraziamento per tutti coloro che erano presenti, ciascuno con la propria follia, spesso dissimulata assai bene.
Ma io lo so che c’è. E sono loro grato anche per questo.
Passi e parole in gruppo
Marino Magliani
Un gruppetto di persone, più o meno adulte, si dà appuntamento nella piazza principale di Ormea, alcune di queste si conoscono tra loro. A organizzare questo incontro sono due scrittori, a facilitarlo è il Sindaco di Ormea con la preziosa collaborazione di Marina, la guida di trekking. Man mano, a dare un aiuto sono tutti quanti, spinti dal desiderio di conoscere o riconoscersi in un paesaggio unico, durante una stagione non più caldissima. Esercitare l’occhio ed essere per un fine settimana ciò che vedono. Ma forse ciò che hanno visto attraverso i paesi abbandonati, o semi abbandonati, i castagneti malati, o altri boschi vigorosi e sani, e dopo aver guardato le acque sui cui fondali, beati, si posano i tritoni, e aver alzato gli occhi sulle rupi che non sono più né Piemonte né Liguria, ma si trasformano anch’esse in parole, forse ciò che ha visto questa gente sono solo cose piuttosto lontane. Una giostra sgangherata da un’alluvione, il tentativo di un uomo di ripercorrere con la sua compagna una pista ciclabile lungo il Tanaro, fino alla frazione di Barchi, lungo i bar e i ponti e le cartiere della memoria (la Urbex che tanto affascina e inquieta certe scrittrici), una visita al cimitero. Oppure una mosca, invitata al ricevimento di un matrimonio, disposta a volare attorno alla fiamma di una candela, che si racconta nella storia della Vedova illibata.
Ella da bambina non voleva salire sulla montagna e da adulta porta uno scialle, si innamora di un lord che poi non torna, forse perché muore, o non torna perché a volte succede così. Il resto è l’incanto, come succede spesso in queste pagine. Sono storie che iniziano col passo del naturalista, dell’escursionista che cammina sopra la frazione Quarzina di Ormea, ad esempio dove c’è la casa di Ester, e a quel punto le pietre si fanno vulcano e le storie che emettono son lava con la lingua incandescente e gelata delle durezze, delle ingiustizie, della povertà, della dignità. Della Resistenza.
Altrove si tratta di fiabe disperate in cui c’era una volta un bambino che doveva portare quattro uova alla nonna e attraversare il bosco e alla fine incontra un uomo che lo accompagna verso il fiume. Da qualche parte il bambino vede suo papà che fa il ragù e un gatto nero, allora sente la voce della nonna, e accompagnato dall’uomo e dal gatto nero il bambino va al fiume, entra nell’acqua.
Ci si può anche chiedere come lo fecero Rimbaud e Chatwin, che ci faccio io qua, e stavolta, chi se lo chiede racconta la sua avventura di pensionato, la partecipazione a un’officina di scrittura che si tiene a Ormea, e il paese dove trascorreva le estati da bambino con le zie emerge, nello stupore. Il ricordo è ballerino, dolce come una madaleine e sepolto all’interno di una botola che contiene canzoni, partite alla tv, olmi sradicati dalle piazze.
In Salita abbiamo un medico ligure che si reca a Ormea e, prima di giungere in paese, investe una persona, ma non le presta soccorso. Il medico continua la giornata come se nulla fosse accaduto, ma non potrà di certo esserlo, no, non sarà una giornata come tante altre.
70×183 non è una sigla strana, è piuttosto la storia di una donna che vive una crisi di coppia e decide di risolvere i suoi problemi in un modo assai feroce. A Ormea questa donna torna in vacanza, dopo averci trascorso le estati da bambina e, in qualche modo, forse, a quel punto, il progetto criminale potrebbe prendere un’altra piega.
In mezzo troviamo ottimi reportage, cose che sembrano uscite dalla penna di un Paolo Ciampi, di Oreste Verrini, percorsi calmi e osservazioni colte lungo il Tanaro, che creano un’impalcatura alle parole di tutti quanti. Il lago Lao ci porta sopra il pianoro di San Giovanni, sempre nel territorio di Ormea, il camminatore si muove, sollecitato dalle domande che ci impone la natura. Sono pagine necessarie, come quelle del peso della testa, che ci racconta una donna di mezza età con problemi esistenziali e su queste cose lei riflette. Non è chiaro cosa cerca in montagna, o forse è fin troppo chiaro. (Ma) poi la sera non è la cronaca dell’alluvione del 2020, in cui il Tanaro si gonfia, rompe gli argini e come un mostro preistorico unendosi all’Armella sconvolge Ormea. È anch’esso tutto questo e altro: il racconto di una donna che noi vediamo assistere a un disastro del genere.
Una specie di racconto “criminale” si scopre anche in Un’idea da battilemani, nel senso che anche stavolta il progetto è occultare un misterioso “lui”. Anzi, la partecipazione all’officina di passi e scrittura ha proprio questo scopo. Ma chi è lui?
Per ultimo, il racconto di un migrante che scappa e si perde, come tante cose e idee e persone di questa raccolta ambientata talvolta su crinali puliti dal vento, o inzuppati da venti ancora salati, in mezzo ai relitti della cartiera, sul ciottolato dei trevi, i vicoli di Ormea.
Di seguito i racconti presenti nella raccolta:
Graziella Bella, La giostra
Marco Branda, Una metamorfosi
Loredana Canavese, La casa di Ester
Elisabetta Carbone, I desideri sono coincidenze
Angelo Cirillo, Che ci faccio io qua?
Gabriele Decanis, Salita
Martina Gallinotti, 70×183
Marco Grassano, Giorni tranquilli a Ormea
Paola Maccario, Elu al lago Lao
Sara Maggi, Il peso della testa
Roberta Poggio, (Ma) poi la sera
Daniela Sghembri Volpe, Un’idea di “battilemani”
Elisa Veronesi, La scrittura di Ophiostoma
Agata Violo, Chi ha le gambe troppo lunghe per restare
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Immagine di copertina:
foto di Elisa Veronesi, Ormea.