[Pubblichiamo un estratto dal saggio “L’Ottocento” di Francesca Sensini, inserito nel volume collettivo “Le autrici della Letteratura italiana. Per una storia dal XIII al XXI secolo” a cura di Daniela de Liso, Paolo Loffredo editore, Napoli, 2023. Per gentile concessione dell’editore].

L’Ottocento è un secolo ambiguo, come lo definisce Francesca Sensini in questo saggio, perché è un secolo di grandi innovazioni in diversi campi del sapere, ma è anche il secolo nel quale la scienza moderna studia l’essere umano naturalizzandone certe caratteristiche e attuando una rigida separazione dei sessi. È il secolo nel quale ha luogo il primo Congresso internazionale per i diritti delle donne, con un discorso di apertura tenuto dall’italiana Anna Maria Mozzoni, unica delegata di un governo, e, allo stesso tempo, è il secolo nel quale la scienza e la neonata psichiatria sanciscono una presunta inferiorità del sesso femminile. È un secolo nel quale la produzione letteraria delle donne inizia a intensificarsi diventando una vera e propria industria, seppure in molti casi le tematiche utilizzate fossero dettate da una presunta funzione pedagogica che questa scrittura doveva avere per mantenere l’ordine sociale costituito. Un secolo ricco di produzione e di contraddizione, snodo fondamentale tra l’antica e la nuova società.

Le autrici della Letteratura italiana

L’OTTOCENTO
Francesca Sensini 1

Ottocento, tra crisi e opportunità

«Così, scrittrici di romanzi, poetesse, pittrici, scultrici […] esistono unicamente perché ci sono stati gli intelletti mascolini che hanno aperto la via. Nessuna donna al mondo ha mai fatto quel che essi hanno fatto; l’intelletto immaginativo è mascolino, caro mio».

Con queste parole si esprime il medico e professore universitario Angelo Camillo De Meis, conversando con Luigi Capuana a proposito delle «facoltà intellettuali della donna», un giorno dei primi anni del Novecento, sotto i portici della stazione di Bologna. Lo scrittore siciliano ricorda questo dialogo in apertura del suo articolo dedicato alla Letteratura femminile, apparso sulla rivista Nuova Antologia nel gennaio del 1907. Così, se è pur vero – l’autore condivide l’affermazione dell’amico De Meis – che una distanza incolmabile separa uomini e donne, ovvero il possesso, da parte dei primi, del pensiero razionale e della facoltà di astrazione, Capuana e nondimeno persuaso che non si debba trascurare il contributo delle donne alle lettere e alle arti. Tale contributo è assicurato dalla loro stessa «femminilità», precisa lo scrittore, da intendersi come «senso di gentilezza, di compassione, di tenerezza e di entusiasmo che è speciale caratteristica dell’intelligenza e, più, del cuore della donna».2

Insomma, le donne – anzi, la donna, vista ancora come universale indistinto – hanno cuore, gli uomini ragione. Questa opposizione tra razionalità maschile e sensibilità (e sensiblerie) femminile è dominante nel secolo XIX. Ricondotte e ridotte ai loro corpi e alla biologia come a un irremovibile destino, le donne appaiono segnate da un’inadeguatezza psicofisica alle attività intellettuali, incapaci, per natura, di elaborare solide costruzioni concettuali e opere di vera creatività, cioè non imitative, le quali sono, invece, proprie costitutivamente degli uomini. Tuttavia, per i più aperti e progressisti, come Capuana, le letterate e le artiste sono degne di attenzione critica proprio in ragione della loro differenza, ovvero la femminilità, nozione che nell’Ottocento viene (ri)definita con precisione, nei suoi contenuti e nelle sue espressioni. Nelle pagine del suo contributo, lo scrittore e critico siciliano non lesina i suoi apprezzamenti (così come una serie di circostanziate riserve) nei confronti di scrittrici come Matilde Serao, Grazia Deledda e Jolanda.

Ma cosa rimarrà, si chiede Capuana concludendo la sua disamina, della «concorrenza femminile nell’arte narrativa» in Italia e del «fine contributo di femminilità che essa vi apporta»? La stessa domanda vale per le opere degli uomini, egli puntualizza, chiudendo così la sua riflessione:

L’avvenire, dicevano gli antichi, è in grembo di Giove. Niente è più fallace del fare previsioni; la storia letteraria è un grande ammonimento intorno a questo punto interrogativo. Rimarranno tre, quattro opere dove la forma ha sviluppato meglio il suo organismo in un secolo, in mezzo secolo, lasciando l’addentellato per le sue esplicazioni future. Tutto il resto però non è assolutamente come non avvenuto. Qualcosa permane di tante migliaia di tentativi, di cui non riusciamo a renderci conto: un accento, un atteggiamento, un lampo di visione, giacché niente va perduto nel regno dello spirito, come in quello che chiamiamo della Natura.

Se si ammette con Capuana che nulla si distrugge e tutto si trasforma, come in natura così nel campo della creatività umana, e pur vero che il controllo di Giove padre sul futuro delle vicende umane non è neutrale. Così, quello che resterà – quello che è restato, diventando oggetto di analisi critica, entrando anche nel cosiddetto canone letterario, nei manuali e nei programmi scolastici in Italia – è condizionato, per l’Ottocento, da una visione essenzialista che ha collocato la scrittura delle donne ai margini di un sistema letterario occupato ampiamente dagli uomini, egemonizzato dal loro giudizio e, inevitabilmente, anche dai loro pregiudizi.

La rigida rifondazione della visione dicotomica dei sessi, alla base del pensiero filosofico occidentale, si attua proprio in questo secolo ambiguo, caratterizzato da avanzamenti e innovazioni rilevanti in tutti i campi del sapere e, insieme, impegnato nella ricerca di puntelli ideologici (e ideologizzati) destinati a sostenere una precisa architettura sociale, buona, giusta e inamovibile in quanto “naturale”, in realtà naturalizzata.

La scienza ottocentesca si presta a questa operazione, offrendosi come strumento fondamentale per una comprensione che si vuole oggettiva – e in quanto tale indiscutibile – della realtà. Prendendo le mosse dalle teorie del biologo e naturalista Charles Darwin, si consolida l’assunto di un’inferiorità naturale delle donne, dedotta dall’osservazione dei dati e dall’esperienza. L’idea che, a condizioni di pari opportunità di sviluppo e di azione (a partire dall’educazione e dall’istruzione), i dati e le esperienze potessero variare, incrinando i risultati della deduzione, non sembra stimolare la riflessione del tempo verso ulteriori verifiche e approdi.3 La produzione di opere che avvalorano la tesi della superiorità di un sesso su un altro (che si accompagna, di pari passo, con le teorizzazioni di “razze” superiori e inferiori) e considerevole. In Italia, Cesare Lombroso si impegna a dimostrare, mediante le sue ricerche antropometriche, l’inferiorità genetica delle donne nel saggio Genio e follia, del 1864, e nello studio su normalità e devianza nelle donne, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, del 1893. Di questo stesso anno è il trattato di divulgazione scientifica, di grandissimo e durevole successo, la Fisiologia della donna, del medico e antropologo Paolo Mantegazza, che giunge alle stesse conclusioni. Tra le opere straniere ci limitiamo a menzionare due titoli che ebbero un’influenza rilevante nel dibattito culturale europeo: il saggio L’inferiorità mentale della donna del neurologo tedesco Paul Julius Mobius, edito nel 1900 e tradotto in italiano nel 1904 dallo psichiatra e neurologo italiano Ugo Cerletti, e il trattato Sesso e carattere del filosofo austriaco Otto Weininger, del 1903, un vero e proprio caso editoriale, anche in ragione del suicidio del suo autore all’età di ventitré anni, nello stesso 1903.4

In Italia, a fronte della radicalizzazione borghese della divisione sessuale dei ruoli, la scrittura delle donne fiorisce e cresce, in generale, la loro presenza nel mondo della cultura e tra i fruitori della cultura stessa. Continua la pratica settecentesca dei salons tenuti da dame dell’alta società; le artiste (attrici, danzatrici, cantanti) sono molto amate dal pubblico; le poetesse sono apprezzate e lodate. Tra loro ricordiamo almeno i nomi della calabrese Giovanna De Nobili (1776-1847) e della milanese Luisa Amalia Paladini, (1810-1872), entrambe autrici anche in prosa (della prima menzioniamo la novella Il seduttore del villaggio, del 1846; della seconda il romanzo La famiglia del soldato, del 1859).5 Nascono giornali e riviste dedicati al pubblico femminile, segmentato commercialmente in base all’età, ciascuno con le proprie specificità e con diversa fortuna editoriale.6 Si traducono in italiano opere di scrittrici straniere, come la poetessa inglese Elisabeth Barrett Browning, l’americana, femminista e abolizionista, Harriet Beecher Stowe, autrice del romanzo La capanna dello zio Tom, del 1852, un vero e proprio best-seller del secolo, e la francese George Sand, molto popolare e influente nella prima metà del secolo per l’attenzione alla condizione delle donne, ai grandi temi politici e sociali e, non da ultimo, al tema dell’amore-passione, in rottura con la morale tradizionale e le leggi allora vigenti materia. Nonostante tutto ciò, in Italia, la discriminazione nei confronti delle donne è pervasiva e riguarda tutti i settori della vita pubblica, in particolare nel lavoro (lo sfruttamento delle donne delle classi popolari si intensifica) e nell’istruzione superiore, da cui sono escluse.

Nel 1878 ha luogo, a Parigi, il primo Congresso internazionale per i diritti delle donne. Tiene il discorso inaugurale l’italiana Anna Maria Mozzoni, unica delegata di un governo (il ministro dell’istruzione di allora, Francesco De Sanctis, le conferisce l’incarico di riferire le soluzioni prospettate al congresso in tema di istruzione). Eppure, la parola “emancipazione” ha difficoltà persino a essere pronunciata pubblicamente in Italia: in essa risuona la cupa minaccia della distruzione dell’ordine borghese e della famiglia tradizionale, suo nucleo portante, senza il quale – non pochi lo affermano – le donne stesse sarebbero condannate alla perdizione e all’infelicità. Figure importanti della cultura italiana del tempo, come Fanny Salazar e Maria Antonietta Torriani, si dissociano apertamente dal termine e dagli “eccessi” (per esempio la richiesta del diritto di voto) che esso portava con sé.

Così, allo scopo di incanalare una forza potenzialmente eversiva, la cultura ufficiale del Regno decide di investire le donne, educatrici per eccellenza nella mentalità tradizionale, di una missione culturale, di una maternità, per così dire, civile, che le chiama a impegnarsi per la formazione degli uomini e delle donne della nuova Italia. Da qui l’impronta apertamente pedagogica o, più generalmente, morale e educativa della scrittura femminile, in accordo con la volontà della classe dirigente del tempo.7

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Note:

1) Université Côte d’Azur (Nizza).
2) L. Capuana, Letteratura femminile, ≪Nuova Antologia≫, quinta serie, gennaio-febbraio 1907, vol. CXXVII della raccolta CCXI, Roma, 1907, pp. 105-106.
3) L’intreccio, nell’Ottocento, di progresso tecnologico e scientifico e di ripiegamento conservatore della mentalità adombra un richiamo all’ordine delle classi dominanti, intente a strutturarsi in un contesto in sempre più rapido mutamento. Mentre l’Illuminismo era stato una forma di pensiero universalista, di matrice umanista, non solo e non esclusivamente borghese, il Positivismo e figlio di un secolo che subisce il contraccolpo della Restaurazione, nel 1815, e il tentativo di ritorno all’Ancien Régime delle cancellerie europee; tentativo fallito, storicamente fuori tempo massimo, che produce nondimeno un nuovo ordine autoritario (si pensi all’involuzione della Seconda Repubblica francese con Napoleone III o all’aggressività della Gran Bretagna vittoriana, intenta a costruire il suo impero mondiale).
4) Non mancano voci di segno opposto, come quella del filosofo ed economista inglese John Stuart Mill, che denuncia i pregiudizi misogini nel saggio The Subjection of Women del 1869 e il socialista tedesco August Bebel in Die Frau und der Sozialismus del 1879: si tratta di opere che posero le basi teoriche del femminismo emancipazionista. Sulla visione delle donne nella letteratura scientifica italiana tra XIX e XX sec. in Italia si veda V. P. Babini, F. Minuz, A. Tagliavini, La donna nelle scienze dell’uomo: immagine del femminile nella cultura scientifica italiana di fine secolo, Milano, FrancoAngeli, 1986.
5) Nel processo di unificazione nazionale, la poesia ricopri un ruolo fondamentale, contribuendo a formare l’immaginario patriottico e a fondare miti. Per il contributo delle donne in questo ambito, rinvio M. T. Mori, Figlie d’Italia. Poetesse patriote nel Risorgimento (1821-1861), Roma, Carocci editore, 2011.
6) Per inquadrare l’esperienza delle riviste delle donne tra Ottocento e primo Novecento in Italia, rinvio al numero 26 del 2021 della rivista ≪Laboratoire italien≫, dal titolo Voix et parcours du féminisme dans les revues de femmes (1870-1970), a cura di L. Fournier-Finocchiaro, L. Gazzetta e B. Meazzi, disponibile in open access: https://journals.openedition.org/laboratoireitalien/6880
7) Sul contributo delle letterate nel processo di costruzione della nazione si veda S. Soldani (a cura di), L’educazione delle donne. Scuole e modelli di vita femminile nell’Italia dell’Ottocento, Milano, FrancoAngeli, 1991. Sul settore dell’editoria e della carta stampa in Italia tra Otto e Novecento si veda A. Hallmore Caesar, G. Romani, J. Burns (a cura di) The Printed Media in Fin-de-siècle Italy: Publishers, Writers and Readers, London, Routledge, 2011.

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Immagine di copertina:
Gioacchino Toma, Solitudine, 1870-1874.