[Pubblichiamo una intervista di Laura Liberale a Francesco D’Isa e Adriano Ercolani, autori di Introduzione alla meditazione, edizioni Tlon].
Laura Liberale: Come siete arrivati all’idea e alla realizzazione di questo testo?
Francesco D’Isa: L’invito è venuto direttamente dall’editore Tlon, che conosce entrambi e sa che la meditazione è una parte importante delle nostre vite. Credo che lo spunto, però, siano stati dei webinar di meditazione che io e Adriano abbiamo tenuto con Daniele Capuano, un’iniziativa che abbiamo organizzato proprio allo scopo di diffondere e approfondire lo studio di questa pratica.
Adriano Ercolani: Sì, è nato tutto originariamente da una richiesta di Francesco ad alcuni suoi contatti: cercava un “esperto” di meditazione per un articolo di approfondimento su L’Indiscreto, testata culturale che, com’è noto, dirige. L’amico comune Federico De Vita, che ringrazio sempre, mi ha gentilmente segnalato, e da quel giorno è nata una collaborazione spontanea, prima attraverso alcuni miei articoli pubblicati su L’Indiscreto, poi, appunto, sono nati i webinar con Daniele Capuano (autore di Introduzione all’esicasmo, uscito contestualmente sempre per Edizioni Tlon, e mio fraterno amico e mentore da oltre trent’anni), e da lì, appunto, la proposta di Matteo Trevisani, all’epoca editor della casa editrice.
LL: Potete fare una sorta di “mappa” ragionata della vostra Introduzione alla meditazione?
FDI: Siamo partiti con l’aspetto più difficile: provare a tratteggiare elementi in comune e divergenze delle varie tecniche meditative – non le tradizioni, che sono spesso molto diverse, ma soltanto le tecniche, che invece presentano notevoli punti di contatto. Poi ci siamo un po’ “divisi” le tradizioni più celebri in base a conoscenze e affinità: io ho lavorato sul buddismo e sull’Occidente; Adriano su Qabbalah, Yoga, Advaita e Sufismo. Resta fuori moltissimo (tutto il Taoismo ad esempio!), ma per iniziare abbiamo preferito concentrarci sulle tradizioni che più di altre hanno posto l’accento sulla pratica meditativa.
AE: Esattamente, la sfida è stata quella di provare, con umiltà, a fare ordine nella selva stordente di tecniche, metodi, maestri veri, falsi o sedicenti che dagli anni ’60 in poi è divenuto il panorama della ricerca spirituale. Sfida nella sfida è stata quella di trovare un punto di equilibrio tra il sincretismo un po’ caciarone da New Age fricchettona e le derive insidiose di certa Filosofia Perenne. Dunque, se da un lato abbiamo senza dubbio sottolineato come tutti i percorsi convergano e si dissolvano nell’esperienza dell’Uno, dall’altro abbiamo anche provato a distinguere le differenti identità delle diverse tradizioni.
LL: Quali sono stati i vostri intellettuali e praticanti di riferimento (del passato e del presente)?
FDI: Oh, sono davvero troppi! Personalmente sono per lo più quelli che ho trovato nello studio e nella lettura. I classici anzitutto. E le persone che ho incontrato lungo la strada… Non ho mai avuto veri maestri/e, ma tanti compagni e compagne di viaggio.
AE: Eh, veramente non basterebbe un altro libro per parlarne… Come scrivo nell’ultimo capitolo dedicato alle nostre esperienze (in una nota, perché non ho inteso far proseliti ma dichiarare onestamente il mio percorso di riferimento) da oltre venti anni seguo gli insegnamenti di Shri Mataji Nirmala Devi, figura per me senza precedenti, che ho avuto il privilegio di conoscere direttamente. All’interno del mio percorso di ricerca, potrei indicare numerosi punti di riferimento: nella tradizione indiana Adi Shankaracharya e la tradizione dell’Advaita Vedanta (sempre per Edizioni Tlon avevo in precedenza tradotto il libro Advaita Vedanta. Una ricostruzione filosofica di Elliot Deusch); in quella occidentale Dante su tutti, poi Pico della Mirandola, Marsilio Ficino, William Blake, fino agli eredi moderni della Filocalia, Pavel Florenskij e, nell’arte, Andrej Tarkovskij (la visione adolescenziale di Andrej Rublev è stata per me un’epifania decisiva).
LL: Com’è stato condensare in poco meno di 150 pagine di Introduzione, un tema così ampio e variegato?
FDI: Difficile! Ci chiedevamo sempre come tagliare questo o quello, se non riusciva troppo superficiale, come non parlare di interi filoni di pensiero… Ma lo scopo del libro era di fornire una guida utile a eventuali altri approfondimenti e abbiamo preferito mantenerla molto snella. Per proseguire la ricerca c’è la bibliografia, che non è solo di testi citati ma anche di nuovi spunti di lettura.
AE: Un incrocio tra folle sfrontatezza e consapevole umiltà. Avremmo potuto scrivere un’enciclopedia su ogni tema, ma abbiamo deciso, visto il formato e il pubblico di riferimento, un’introduzione, appunto, che potesse rendere più accessibile e comprensibile al pubblico occidentale un tema spesso relegato a stramberia esotica.
LL: Con che strumenti, opportunità e limiti, un occidentale può oggi, in questi tempi critici, accostarsi alle pratiche meditative?
FDI: Anzitutto penso che dovrebbe farlo con la consapevolezza che la meditazione fa parte anche del nostro percorso culturale. Sebbene l’Oriente l’abbia portata a più diffusa e capillare notorietà, meditare fa parte anche della cultura occidentale e, per quanto sia vero che non potremo mai pensare come un indiano o come un cinese, è anche vero che le culture del mondo si sono sempre ibridate, dando luogo spesso a virtuosi sincretismi. Dopo la globalizzazione e internet penso che si possa accedere con più facilità anche a pratiche altre, è anche un utile esercizio di apertura e tolleranza. Credo sia indispensabile, a dire il vero.
Nell’approcciarsi alle pratiche meditative in questi tempi complessi, è essenziale per un individuo occidentale riconoscere che la meditazione non è esclusiva dell’Oriente, ma fa parte anche del ricco tessuto culturale dell’Occidente. La storia ci insegna che la meditazione ha radici profonde anche nelle tradizioni occidentali, e questa consapevolezza può fungere da ponte verso un’apertura più ampia e un apprezzamento delle diverse pratiche meditative globali. Grazie alla globalizzazione e alla vasta rete di connessioni offerte da Internet, oggi abbiamo l’opportunità senza precedenti di esplorare una varietà di tecniche meditative, provenienti sia dall’Oriente che dall’Occidente, con una facilità mai vista prima. Questa accessibilità è una ricchezza che consente non solo di ampliare i nostri orizzonti spirituali e culturali, ma anche di praticare l’inclusività e la tolleranza verso le differenze.
È vero che l’esperienza e la percezione culturale possono variare profondamente tra un occidentale e un individuo cresciuto nelle tradizioni orientali; tuttavia, il sincretismo culturale e lo scambio di conoscenze hanno sempre fatto parte della società. In questo contesto, l’accostamento alle pratiche meditative può essere visto come un esercizio di apertura mentale, un’opportunità per arricchire la propria vita interiore attingendo dalla diversità delle tradizioni spirituali del mondo. L’adozione di un approccio rispettoso, informato e aperto può superare i limiti culturali e personali, permettendo a chiunque di trarre beneficio dalle pratiche meditative in maniera significativa.
AE: In realtà, se strappiamo il termine “meditazione” alle sessioni aziendali di mindfulness (che a me non piace) e gli restituiamo il significato più alto ed etimologicamente stratificato, ci rendiamo conto che le opere iconiche della cultura occidentale parlano di quello: la Cappella Sistina, la Divina Commedia, la Venere di Botticelli o il canto gregoriano rappresentano, in maniera diversa, differenti forme di meditazione, abissale e vertiginosa, sui grandi temi dell’esistenza umana, ovvero il rapporto col Mistero, l’esperienza dell’Assoluto, il superamento dei limiti convenzionali e illusori.
LL: Cosa pensate dei vari protocolli contemplativi che vengono oggi proposti al più vasto pubblico?
FDI: Penso che abbiano pregi e difetti. La mindfulness ha il pregio di portare la meditazione anche a casa di chi non riesce proprio a tollerare una diversa cornice culturale e filosofica, ma ha il difetto di non fornire gli strumenti filosofici e culturali per cogliere appieno i frutti (e i pericoli) di questa pratica, che esulano spesso da ciò che può essere comunicato nella contemporanea cornice materialista occidentale.
I protocolli contemplativi offerti oggi al grande pubblico rappresentano sia un’opportunità che una sfida. Da un lato, pratiche come la mindfulness hanno il merito di rendere la meditazione accessibile a un’ampia fascia di persone, superando barriere culturali e filosofiche che in passato avrebbero potuto scoraggiare i molti. Tuttavia, questa accessibilità può anche comportare dei limiti. La presentazione di pratiche come la mindfulness, spesso spogliate del loro contesto filosofico e culturale originario, può portare a una comprensione parziale o superficiale di ciò che la meditazione può offrire. Senza una comprensione profonda delle radici e dei principi su cui si basano queste pratiche, si rischia di trascurare aspetti essenziali che contribuiscono alla loro efficacia e integrazione nella vita quotidiana. Inoltre, l’approccio prevalentemente materialista della società occidentale può limitare la capacità di percepire e apprezzare i benefici più sottili (e i pericoli più profondi) della meditazione, riducendola a uno strumento per il benessere immediato, magari funzionale alla produttività capitalista, piuttosto che a un percorso di crescita personale e spirituale. È per me fondamentale che chi si avvicina a questi protocolli contemplativi moderni sia guidato a esplorare anche gli aspetti filosofici e culturali che stanno alla base delle pratiche meditative. Ciò richiede un approccio educativo che non si limiti alla sola pratica, ma che includa anche un inquadramento culturale, arricchendo così l’esperienza meditativa e offrendo una comprensione più completa dei suoi potenziali benefici e sfide.
AE: Qualsiasi opera di diffusione reca con sé il vantaggio di una condivisione estesa, ma anche il rischio di ogni volgarizzazione: la diluizione, fino all’inconsistenza, dell’esperienza originale. Ridurre quello che è il percorso di conoscenza, meta e significato stesso dell’esistenza per secoli di iniziati, a un esercizietto per far passare il mal di testa o per essere più produttivi è praticamente una bestemmia, senza però possedere la dirompente carica profetica di Mario Magnotta, massimo interprete dell’Esistenzialismo e forse unico erede di Franz Kafka.
LL: Qual è il valore testimoniale del vostro lavoro?
FDI: Parlare di meditazione può essere sia una distrazione dalla meditazione che un modo per portarla avanti e incentivarla: se abbiamo scritto questo libro è per condividere quel che significa per noi, ma anche per ricordarci i motivi per cui ci dedichiamo ad essa. Per me l’approccio è molto personale, la meditazione è stata credo la scoperta più importante della mia vita – e non uso volentieri superlativi – dunque parlarne ha sempre anche un valore testimoniale. Si tratta dopo tutto di una conoscenza empirica: si tramanda proprio perché funziona.
AE: Speriamo ci sia! Io dico sempre che affrontare, con categorie razionali, un’esperienza che per definizione ti dovrebbe condurre in un Altrove oltre i limiti della mente, è un paradosso destinato al fallimento, una costante sfida all’ineffabile. L’esperienza vale più di mille libri, per questo abbiamo scelto di offrire solo una possibile chiave di accesso a chiunque desideri iniziare questo cammino di conoscenza interiore.
LL: Nelle conclusioni, esponete quello che è stato il vostro campo esperienziale. Potete aggiungere un aneddoto particolarmente significativo legato alla pratica meditativa?
FDI: A parte quelli che ho scritto, per me è molto buffo meditare con una compagna che non è interessata alla cosa, seppur sia sempre rispettosa della mia scelta. Ogni volta che medito, dice che “vado a fare un pisolino”, anche se poi apprezza gli effetti che questa abitudine ha sul mio carattere e umore. È bello parlare agli altri della propria esperienza meditativa, ma è anche bello non avere la necessità di persuadere nessuno.
AE: Credo che potrei scrivere a riguardo un libro di “Memorie” come unica attività per i prossimi anni… Negli anni ho testimoniato di tutto, da quelli che, con una definizione pigra, una mente ingenua potrebbe definire “miracoli”, ma che forse sono solo risorse potenziali presenti in ognuno di noi, mai attivate in uno stile di vita moderno (mi riferisco a guarigioni improvvise, fenomeni naturali inspiegabili, accesso a dimensioni di coscienza diverse) ad aneddoti buffissimi, da “incontri con uomini straordinari”, per citare Gurdjieff, ad avventure rocambolesche, “zingarate” in villaggi indiani, matrimoni con riti hindu in campi di cricket, sessioni di meditazione allo Stadio Olimpico e in Parlamento, in carceri di massima sicurezza e in università prestigiose, blitz meditativi a Scampia e lettere di apprezzamento del Presidente della Repubblica tedesco e del Re di Spagna… insomma, negli anni la meditazione l’ho proposta, assieme a molti amici, ovunque e a chiunque, perfino a Patti Smith e a Richard Benson (che declinò gentilmente)…
LL: Una definizione personalissima e magari non ortodossa di “meditazione”.
FDI: Un necessario impegno a non far nulla.
AE: Un oceano di quiete interiore pervaso da una grazia sottile e materna, un percorso di consapevolezza della realtà che conduce a un beato dissolvimento nell’unità originaria.
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Immagine di copertina:
tawatchai07, Buddha Statue and Wat Mahathat Temple, freepik.com