[Nel maggio 2024, come momento di un convegno globale diffuso per il quarantennale, all’università di Bergamo si è tenuto un convegno su Michel Foucault organizzato da Pietro Barbetta, Paola Gandolfi, Giovanni Mascaretti, Lorenzo Petrachi ed Enrico Valtellina. A seguire, è stato pubblicato da Orthotes un volume dal titolo Michel Foucault. Quarant’anni e poi, a cura di Pietro Barbetta, Giovanni Mascaretti, Lorenzo Petrachi, con interventi dei partecipanti, più altri contributi. Sicuramente non manca esegesi foucaultiana nel tempo presente, ma il volume si caratterizza per riunire tracce a margine, percorsi non trafficati, contestualizzazioni inedite. Raccoglie testi di (in ordine di apparizione) Judith Butler, Enrico Valtellina, Lorenzo Petrachi, Ruby Faure, Renato Busarello, Daniele Lorenzini, Arianna Sforzini, Orazio Irrera, Giovanni Maria Mascaretti, Federico Zappino, Eleonora de Conciliis, Paola Gandolfi, Béatrice Hibou, Mohamed Tozy, Jeean-François Beyart, Jurandir Freire Costa e Pietro Barbetta. I materiali spaziano in molteplici direzioni, se si vuole individuare un orizzonte comune, è esattamente il darsi come percorsi a margine, sguardi trasversali, focalizzazioni inconsuete. Giustapposizione di scritture, stili di pensiero, temi inediti, che integra in modo originale la ricezione del pensiero del filosofo di Poitiers. Senza che in alcun modo si dia come rappresentativo, se non di uno dei percorsi esegetici eccentrici raccolti nel volume, proponiamo il contributo al libro di Enrico Valtellina].
“La vostra legittima stranezza”. Michel Foucault e l’autismo
Enrico Valtellina
Questo contributo al libro è un ripiego. La mia intenzione originaria era sviluppare un testo scritto decenni fa su Michel Foucault lettore di Louis Wolfson, Raymond Roussel e Jean-Pierre Brisset, sul procédé. Le lezioni di Gilles Deleuze su Foucault, pubblicate successivamente, contengono molti spunti, e nel frattempo ho coltivato i tre autori come interesse assorbente, pubblicando con Pietro Barbetta Louis Wolfson: Cronache da un paese infernale e due articoli su Raymond Roussel e Jean-Pierre Brisset in appendice a Tipi umani particolarmente strani: La sindrome di Asperger come oggetto culturale. Dopo aver letto Linguaggio e follia di Giuseppe Zuccarino (Joker, 2023) che ne tratta esaustivamente, ho pensato che sarebbe stato un contributo ridondante e inutile. Ho ritenuto quindi più opportuno spostare lo sguardo alla mia dedizione principale, i Critical Autism Studies, e pensando a “Foucault” e “autismo”, i raccordi sono immediatamente proliferati in tante direzioni, molti ancora prossimi al progetto originario. Provo a disciplinarli in un percorso.
Hacking Autism: un’ontologia storica
Un approccio foucaultiano all’autismo non può che imbattersi in uno degli autori che meglio hanno saputo raccogliere la lezione del filosofo di Poitiers, del resto, Ian Hacking è un riferimento privilegiato e costante dei Critical Autism Studies, l’analisi culturale da prospettiva emancipativa che negli ultimi lustri si è individuata come ambito disciplinare settoriale dei Critical Disability Studies. Un libro di Hacking prende il titolo da una citazione foucaultiana, Historical ontology, ontologia storica.1 Cominciamo la nostra ricerca esponendo l’ontologia storica dell’autismo per come viene proposta nei corsi al Collège de France Façonner les gens, 1 dell’anno 2001/2002 e 2, dell’anno 2004/2005. Il tema delle lezioni di Hacking, di cui dichiarazione di intenti stilisticamente magistrale è la lezione inaugurale, è il pensiero classificatorio, e come i soggetti interpellati dalle classificazioni vengano a riformulare i caratteri delle classificazioni stesse, ciò che, come noto, chiama looping effect o effet de boucle, ovvero lo specifico che caratterizza i “tipi umani” per differenza dai “tipi naturali”, le classificazioni delle scienze della natura.
In primo luogo Hacking individua una serie di nove caratteristiche specifiche del pensiero classificatorio in relazione alle scienze umane, proponendo esemplificazioni che torneranno nei corsi, trisomia, bulimia, autismo, omosessualità, altro. Nella loro esposizione, proverò a riportarle al nostro tema, per cogliere quanto nell’autismo vi rientra. Ecco dunque i nove imperativi, introdotti nel corso del 2001-2 poi ripresi e riformulati nel secondo corso a titolo Façonner les gens del 2004-5.2
Cosa è autismo? Ci troviamo immediatamente al cuore della questione, autismo è una diagnosi che individua persone in base a una ricorrenza di segni, che si danno per lo più nell’interazione in presenza, riconducibili a orizzonti di non conformità qualitativa sui piani relazionale, sensoriale, cognitivo, emotivo. Qualcosa di assolutamente generico che non dice niente sull’eziologia, sulla prognosi, e per cui non c’è cura. Altrove (Hacking, 2002, 540-41) sostiene che l’“autistico” è un tipo umano amministrativo:
Un articolo ben documentato ha recentemente affermato che «è giunto il momento di considerare l’autismo come una categoria amministrativa piuttosto che come una malattia specifica. L’autismo non è una malattia, così come non lo è il ritardo mentale: è un termine generico […] che copre un’ampia varietà di condizioni, così come alcuni tratti comportamentali comuni». Questa osservazione può dare un utile contributo alla tipologia delle classificazioni interattive: l’autismo non è solo un tipo di disturbo comportamentale: è anche una categoria amministrativa.
Malgrado ciò il significante “autismo” fin dal suo apparire non ha mai smesso di essere definito, ridefinito e risignificato. I metodi diagnostici si sono sviluppati nel tempo fino a livelli di sofisticazione estremi, con un bell’indotto per quello che Alicia Broderick ha chiamato The Autism Industrial Complex (AIC),3 non di meno indagano qualcosa di assolutamente generico, ciò che Lorna Wing aveva nominato, agli albori del discorso, la triade dell’autismo, 1) Alterazione e compromissione della qualità dell’interazione sociale. 2) Alterazione e compromissione della qualità della comunicazione. 3) Modelli di comportamento e interessi limitati, stereotipati e ripetitivi. Riguardo all’imperativo alla definizione dei caratteri della categoria, l’autismo si trova quindi in oscillazione tra la varietà proliferante delle forme in cui si manifesta e la volontà e l’accanimento al definire confini, caratteri, relazioni differenziali ad altre condizioni.
Ian Hacking, che alla storia della statistica ha dedicato il bellissimo The Taming of Chance, data l’emergere dell’idea di correlazione intorno al 1870. Riguardo all’autismo, contare, correlare sono pratiche ricorrenti, a loro volta con esiti in continua ridefinizione. Su più piani. Quando avevo cominciato a occuparmene, si diceva che su dieci autistici, nove fossero maschi. Ora la prevalenza di genere è scomparsa, e curiosamente, la più grande maggioranza degli attivisti interessanti e con un seguito, sono femmine. Altro piano fondamentale del conto degli autistici, è l’epidemiologia, con l’aumento esponenziale delle diagnosi. Ciò innesca la ricerca di correlazioni, spesso fittizie, per giustificare il fenomeno. Talvolta le ricadute sociali delle correlazioni immaginarie, si pensi al legame dichiarato 4 e mai provato tra insorgenza di autismo e vaccinazioni, hanno effetti di lungo termine. Tutto il discorso antivax esploso con la pandemia di Covid 19 ha origine nella correlazione ipotizzata tra vaccini e autismo.
All’interno di una classe, le differenze qualitative devono essere trasformate in quantitative. L’eccedenza singolare deve essere ricondotta a una scala lineare. Rispetto all’autismo, che abbiamo detto essere un orizzonte surdeterminato di non conformità qualitative sui piani relazionale, sensoriale, cognitivo, ciò appare in modo eclatante nella partizione alto-basso funzionamento (un tempo segnata nei suoi margini estremi dai nomi di Hans Asperger e Leo Kanner), e nei livelli 1, 2, 3 secondo il grado di necessità di supporto per il DSM-5. Per potere ricondurre a tali figure disposte in ordine gerarchico, si impone l’imperativo alla quantificazione, della compromissione, della necessità di supporto.
A seguire indagheremo le analisi foucaultiane sulla preistoria del nostro tema (attraverso le lezioni dei corsi al Collège de France dal 1973 al 1975), vedremo come la sua emergenza sia stata una tappa fondamentale nel passaggio dall’alienistica alla psichiatria. Passando dalla preistoria alla storia, se è sorto il significante “autismo”, lo si deve solo allo sguardo medico, che ne ha creato il nome e indicato i caratteri.
La matrice medica della classificazione “autismo” rimane comunque anche nel discorso che se ne vuole svincolare, si pensi all’insistenza del prefisso “neuro-” nel discorso dell’attivismo autistico (neurodiversità, neurodivergenza).
Distribuzione normale è la curva a campana, ma per conforme alla norma si intende ciò che rientra in un range definito nella parte centrale della curva. In tal modo si individua chi trasgredisce la norma stessa e deve esservi ricondotto secondo modalità di normalizzazione di volta in volta ritenute efficaci. Anche in questo caso, le pratiche attivate dal mandato alla normalizzazione creano un notevole indotto per l’AIC. Le enormi risorse destinate alla ricerca biomedica, sostenute da organizzazioni potentissime come Autism Speaks, assecondano la speranza genitoriale di liberare il proprio figlio dall’autismo. Tutto ciò, data la natura della condizione, non porta alcun vantaggio, diretto o indiretto, agli autistici stessi, non di meno lascia aperta la speranza alla normalizzazione, e si troverà sempre il millantatore in malafede che, come il padre dell’intervento comportamentale ABA Ivar Lovaas,5 sosterrà di poter rendere i bambini autistici “indistinguibili” da quelli “normali”.
Per quanto riguarda la biologizzazione, l’autismo si presta magistralmente a esemplificare l’imperativo. La forma di biologizzazione prevalente è quella neurologica, il rimando dell’eziologia immaginaria a qualche frattaglia cerebrale, nel tempo della mia dedizione al tema si è trattato di volta in volta di ippocampo, amigdala, materia bianca, lobi prefrontali, senza scordare i “neuroni specchio”. A monte, come detto, una condizione definita da una fenomenologia infinitamente varia, che eccede insistentemente qualunque tentativo di riduzione a una causazione definita. Non di meno sono sempre proliferate, e continueranno a farlo, le eziologie univoche. Lo stesso prefisso neuro- è allusione alla biologizzazione della condizione, neurodiversità, neurodivergenza, neuroqueerness, puntano al “soggetto cerebrale” di Alain Ehrenberg.6
Non so quante decine di volte mi sia capitato di leggere negli ultimi vent’anni l’articolo di giornale dal titolo: “Scoperto il gene dell’autismo!”. E oltre i titoli giornalistici a effetto, la ricerca si è accanita nell’indagine di loci sensibili nel DNA, con screening sui grandi numeri, e a fronte della difficoltà di tradurre in risultati gli esiti, si è attivata la ricerca oggi sulla breccia sull’epigenetica, la modalità singolare di espressione dei geni in relazione alle condizioni ambientali.
Molti termini classificatori prendono il loro senso in relazione a necessità eminentemente amministrative, per dare supporti a chi ne necessiti, si pensi all’esplosione nel mondo scolastico dei Bisogni Educativi Speciali, BES, che non dicono niente sulla situazione singolare di chi ne viene individuato come portatore. Esattamente allo stesso modo, l’autismo, categoria del DSM senza eziologia, senza prognosi e senza cura, si giustifica in ragione della necessità di dare supporti, educativi, economici, lavorativi, a persone che manifestano livelli ostensibili di non conformità, Hacking, come detto, rimarca che l’autistico è un tipo umano amministrativo.
Arriviamo così con l’ultimo imperativo a toccare il centro pulsante dell’analisi di Hacking dei tipi umani, l’assunzione della categoria in cui ci si trova inscritti come ancoraggio di soggettivazione, a cui consegue la riformulazione della categoria stessa in relazione alle istanze prioritarie di chi la raccoglie. La storia recente dell’autismo, ancora una volta, su questo fronte è esemplare. In effetti, tutto il discorso dell’attivismo, interessantissimo fin dai suoi albori, Jim Sinclair, Donna Williams, Temple Grandin, Gunilla Gerland e tanti altri, si è strutturato su una presa di parola che procede dall’assunzione della categoria “autismo”, ed evidentemente da lì parte tutto l’incredibile e variegato mondo dell’attivismo social contemporaneo, un fenomeno oggettivamente interessantissimo (mai si è dato nella storia qualcosa di simile) e assolutamente trascurato dalle scienze sociali, con pochissime eccezioni. Su Instagram, Facebook, Tiktok hanno trovato una ribalta influencer autistici, che diffondono, ciascuno secondo modalità proprie e inedite, talvolta in modi originali, talvolta sostenendo posizioni abbastanza censurabili, le consapevolezze di base sulla condizione.
Questa premessa ci è servita per definire i caratteri dell’oggetto autismo, ora possiamo volgere lo sguardo alla dimensione storica, secondo cadenze ormai canoniche, sempre postillando Hacking, poi in confronto diretto con Foucault.
Nelle lezioni dal titolo Figure dell’autismo, Hacking,7 ripercorre la storia medica del termine autismo, le tappe sono ormai arcinote: invenzione da parte di Bleuler 8 del termine autismo come sintomo schizofrenico della ritrazione dal mondo, quindi nel 1943 l’individuazione col termine, da parte di Leo Kanner e Hans Asperger, di una specifica condizione. A seguire, dopo un paio di decenni di latenza, comincia la progressiva crescita di attenzione medica per la classificazione, con tutta la proliferazione discorsiva, in continua evoluzione, che ha portato all’attuale iperesposizione culturale del significante “autismo”. Hacking ne ripercorre le tappe, la fortuna delle teorie e delle terapie, un lavoro archeologico in spirito foucaultiano analogo a quello delle sue monografie sui viaggiatori folli e sulle personalità multiple.
Ciò che mi sono sempre domandato, da quando ha cominciato a risuonare l’anno assiale 1943, in cui Kanner e Asperger pubblicarono i loro articoli, mettendolo così al mondo, è cosa ne fosse dell’autismo prima dell’autismo, come fossero, o non fossero, oggetto di attenzione medica e culturale le forme di non conformità indicate dal significante “autismo”. Lo sterminato lavoro di ricerca di tracce intrapreso dai Critical Autism Studies ne ha individuate in ogni epoca, con molti nomi, molte modalità differenti di relazione culturale e gestione.9
Per i nostri intenti, e qui passiamo dal discepolo al maestro, veniamo ora all’analisi del ruolo che questa classe non ancora nominata (invero nominata in molti modi, ma non come autismo) ha avuto nella storia della psichiatria.
Ho accennato in precedenza come Foucault, nei corsi al Collège de France degli anni 1973-75, individui il passaggio dalla prima alienistica, Pinel, Esquirol e i suoi allievi, alla psichiatria, databile verso metà Ottocento. In particolare, nella lezione del 16 gennaio 1974 raccolta ne Il potere psichiatrico,10 viene analizzata la psichiatrizzazione del bambino quale fattore determinante per l’instaurazione del potere psichiatrico stesso.
«Direi allora – ed è questa l’ipotesi che intendo prendere in considerazione – che la psichiatrizzazione del bambino, per quanto paradossale sia, non è avvenuta attraverso il bambino folle o la follia nell’infanzia, dunque attraverso il rapporto costitutivo tra la follia e l’infanzia. Mi sembra che la psichiatrizzazione del bambino sia passata piuttosto attraverso un personaggio del tutto diverso: il bambino imbecille, idiota – quello che ben presto verrà chiamato il bambino ritardato, cioè il bambino al cui riguardo, sin dall’inizio, nei primi trent’anni del XIX secolo, ci si è preoccupati di dire e di specificare bene che non si trattava di un folle. È attraverso l’intermediario del bambino non folle che è avvenuta la psichiatrizzazione del bambino e che, a partire di qui, si è prodotta la generalizzazione del potere psichiatrico».11
Foucault coglie in atto due processi opposti, il primo è la progressiva distinzione dell’idiozia dal delirio, attraverso una caratterizzazione peculiare delle nozioni di idiozia e imbecillità. Il secondo è la ricooptazione alla tutela della psichiatria e dell’asilo di chi viene ormai individuato come affetto da una patologia dello sviluppo e non da infermità mentale, la presa in carico da parte del dispositivo psichiatrico degli “anormali”. Se in Pinel idiozia e imbecillità sono ancora accorpate con le altre forme di follia, di cui l’idiozia rappresenta una manifestazione estrema, in Esquirol e nei suoi allievi Belhomme e Voisin, si compie il passo teorico che le individua come forme di mancato sviluppo delle facoltà. Un ulteriore slittamento del discorso si compie con Eduard Séguin, allievo di Itard e di Esquirol, per cui non di assenza ma di arresto dello sviluppo si tratta, di conseguenza la questione centrale diviene l’educabilità di persone il cui sviluppo è vincolato e più lento di quello dei bambini normali. «L’idiota è come un bambino, non è un malato».12 Emerge come caratterizzazione centrale del bambino idiota l’istinto, che deve essere piegato attraverso una forma peculiare del metodo morale, capace di imporre una regola normalizzante. Secondo Foucault è a questo punto che un movimento che sul piano teorico distingue le anomalie dello sviluppo dalle patologie mentali, a un tempo riconduce alle competenze psichiatriche la loro gestione, e promuove lo spazio asilare a luogo di destinazione delle anormalità. In questo senso, per la territorializzazione di un ambito che le è esterno da parte della psichiatria, Foucault giunge ad affermare che «l’educazione degli idioti e degli anormali non è nient’altro che il potere psichiatrico allo stato puro».13 L’assunzione da parte del potere psichiatrico della delega alla gestione dell’idiozia porta a una trasfigurazione della stessa. Un tempo gli idioti erano i semplici, persone buone per natura in quanto incapaci di pensieri impuri e pertanto destinati automaticamente al paradiso. Cretino viene da Chrétien, buon cristiano. Visto che per essere internati la formula (codificata dalla legge Giolitti del 1904) era «pericoloso a sé e agli altri», si doveva fare figurare, anche quando assolutamente non ce n’erano gli estremi, che l’idiota era potenzialmente pericoloso, a sé e agli altri. La nozione di istinto, congiunta a quella di degenerazione, che allora godeva della sua massima fortuna, servirà da puntello per agevolare l’istituzionalizzazione.
Nel corso dell’anno successivo,Les anormaux,14 il discorso sulla degenerazione ereditaria diviene centrale.
La storia del termine è nota, entra nel lessico psichiatrico con il Traité des dégénérescences physiques, intellectuelles et morales de l’espèce humaine et des causes qui produisent ces variétés maladives di Benedict-Augustin Morel (1857),15 in un orizzonte interpretativo marcatamente religioso.
Come è possibile che l’uomo creato a sua immagine da Dio possa talvolta manifestare caratteristiche che tanto lo allontanano dalla perfezione? Da lì parte l’analisi eziologica, ambienti di vita malsani, abuso di alcol e stupefacenti, e le caratteristiche dei degenerati passano aggravate alle generazioni successive. Ciò che salva il mondo dall’estinzione è che la degenerazione, giunta a un livello critico, porta alla sterilità. La fortuna del paradigma interpretativo della degenerazione fu strabiliante, presto fece presa sulla psichiatria positivista, divenendo riferimento privilegiato per autori eminenti come “le Maître de Sainte-Anne” Valentin Magnan, che scrisse estesamente sugli “héréditaires ou dégénérés”, Cesare Lombroso, Richard von Krafft-Ebing (nelle edizioni ottocentesche della Psychopathia sexualis, in quelle del nuovo secolo i riferimenti alla degenerazione scompaiono), ma non solo in ambito psichiatrico, un meraviglioso libro di Max Nordau,16 Entartung, degenerazione appunto, liquida come degenerati ereditari, riportandone le tare, tutti i più eminenti letterati del suo tempo.
Evidentemente, se non una piena sovrapponibilità tra i due concetti, tra gli ereditari degenerati individuati dalla psichiatria del Diciannovesimo secolo e gli autistici contemporanei, i raccordi sono molteplici, nei due casi, un termine viene a individuare persone che non corrispondono alle aspettative medie a livello relazionale, sensoriale e cognitivo, per eccesso o per difetto, non in termini quantitativi ma in una dimensione qualitativa.
Alla fine del secolo la parabola della fortuna del paradigma della degenerazione giunge al termine. La degenerazione, essendo arrivata a significare troppe cose, aveva finito per diventare un termine generico, in pochi anni finì fuori corso.17.
Una ricerca sviluppata nel solco foucaultiano da Sandra Caponi 18 riprende e amplia l’archeologia della degenerazione, e ci aiuta a cogliere un raccordo ulteriore. Dopo aver ripercorso la storia del termine, da Cabanis a Morel alla fortuna della seconda metà dell’Ottocento, si sofferma su un breve testo di Emil Kraepelin del 1908,19 in cui afferma la sua sostanziale fedeltà al paradigma. A seguire, Caponi ritrova lo stesso modello portante nella psichiatria biologica contemporanea, neokraepeliniana. Dopo un percorso carsico, il modello interpretativo della degenerazione riaffiora in forma spettrale, lo spettro dell’autismo, lo spettro della schizofrenia.
Tipi umani particolarmente strani
Foucault è un riferimento teorico privilegiato dei Disability Studies, tra le autrici che utilizzano in modo molto interessante la cassetta degli attrezzi foucaultiana merita segnalare Jasbir Puar, Margrit Shildrich e Shelley Tremain. In un volume collettivo curato da quest’ultima,20 un contributo di Nirmala Erevelles, Signs of Reason. Rivière, Facilitated Communication, and the Crisis of the Subject, porta a focalizzare l’attenzione su una ricerca foucaultiana particolarmente utile per pensare l’autismo.
Il testo di Erevelles è abbastanza questionabile, giustappone il Pierre Rivière 21 alla comunicazione facilitata, metodica che attraverso un “facilitatore” aiuta a scrivere al computer autistici averbali, pratica molto controversa. La sua argomentazione sostiene che evidenzino la crisi del soggetto umanista moderno. Nel Pierre Rivière la questione posta si dava nei termini di come sia possibile che un ragazzo ampiamente problematico, un “idiota”, abbia scritto una memoria di straordinaria potenza espressiva, nel caso della comunicazione facilitata il tema della problematicità dell’autorialità si pone in relazione a chi effettivamente scriva al pc. La messa in questione dell’autorialità serve a Erevelles per un dialogo critico con un altro testo famoso di Foucault. Non è questo il luogo per analizzare le tesi dell’articolo, mi è servito perché è l’unico testo dei Critical Autism Studies a chiamare attenzione a un testo, la memoria di Rivière, a cui Foucault teneva molto, tanto da raccogliere i suoi collaboratori alla scrittura di un volume collettivo, tanto da partecipare, nella parte del giudice, al film sulla storia di Rivière di René Allio.
Al centro della scena il memoriale di un ragazzo ventenne accusato di aver sgozzato la madre, il fratello e la sorella. Quello che emerge dalle prove testimoniali e dalla memoria di Pierre, è un’infanzia solitaria, marcata da uno spettro di divergenze relazionali, caratteriali, sensoriali e cognitive, in una famiglia con madre psicopatica e padre soccombente. Non serve una specializzazione in neuropsichiatria infantile per dire quale diagnosi toccherebbe oggi a Pierre Rivière. L’analisi del caso da parte degli autori che hanno partecipato alla ricerca ruota intorno al tema della punibilità e del diritto del potere psichiatrico di valutare se l’imputato fosse o meno in possesso delle proprie facoltà. Un secondo interesse assorbente emerge dal contributo di Foucault, il rapporto tra scrittura e follia, la bellezza oggettiva della memoria di Pierre Rivière, incredibile per un ventenne pressoché analfabeta.
Qui torniamo all’esordio del testo, agli autori in cui follia e scrittura s’intrecciano in modi meravigliosamente inediti secondo procedimenti rigorosi e deliranti, tra questi un posto privilegiato spetta a Raymond Roussel, a cui Foucault dedica nel 1963 una monografia,22 e di cui vent’anni più tardi, in un’intervista concessa a Charles Ruas, ora in appendice alla versione inglese del Raymond Roussel, Death and the labyrinth, affermerà «La mia relazione col mio libro su Roussel, e col lavoro di Roussel, è qualcosa di molto personale, che ricordo come un periodo felice. […] Nessuno ha mai fatto tanto caso a quel libro, e ne sono contento, è la mia storia segreta. È stato il mio amore per varie estati, e nessuno lo sapeva».23 Libro intimo e segreto. Anche se nega che a motivarlo allo studio di Roussel durante il tempo della redazione della Storia della follia nell’età classica, sia stata la biografia di Roussel, l’esser stato paziente di Pierre Janet e personaggio decisamente eccentrico e relazionalmente, sensorialmente e cognitivamente non conforme, nell’intervista afferma
«La vita privata di un individuo, le sue preferenze sessuali e il suo lavoro sono interrelati non perché il suo lavoro traduce la sua vita sessuale, ma perché l’opera comprende l’intera vita, oltre che il testo. L’opera è più che l’opera: il soggetto che scrive ne è parte».24
Lo stesso riflesso della divergenza nella vita si ritrova nell’articolo per la NRF del ’62 su La science de Dieu ou la création e nell’introduzione alla riedizione della Grammaire logique (dal titolo Sept propos sur le septième ange), di Jean-Pierre Brisset.25 Non c’è spazio in questo testo per raccontare il meraviglioso mondo di Brisset, e qualunque categoria psichiatrica verrebbe ridicolizzata dal rigoglioso immaginario del “Re dei pensatori”, certamente, senza patologizzarlo, non possiamo che rilevare l’orizzonte di divergenza in cui costruì la sua opera. Nell’introduzione alla Grammaire logique Foucault riprende Roussel e completa la triade con Louis Wolfson, altro autore straordinario, di cui Tobie Nathan, al tempo della pubblicazione della seconda edizione di Ma mère, musicienne, est morte de maladie maligne à minuit, mardi à mercredi, au milieu du mois de mai mille977 au mouroir memorial à Manhattan, sostiene essere “un autistico che si è curato da sé” (Barbetta, Valtellina, 2014).
Come si colloca questa attenzione al riflesso scritto delle non conformità relazionali, sensoriali, cognitive, nell’opera complessiva di Michel Foucault? Le risposte possono essere molte, provo ad azzardarne un paio. Per un verso, i tre autori sono analizzati per i loro singolari procedimenti compositivi, il procédé, come espediente che organizza l’espressione. Il Raymond Roussel ruota tutto intorno al testo postumo Come ho scritto alcuni dei miei libri, e lo stesso lavoro nel procedimento viene tematizzato in relazione a Brisset e Wolfson. Nel 1969 compare un libro, L’archeologia del sapere, che avrebbe potuto benissimo chiamarsi Come ho scritto alcuni dei miei libri, è l’esposizione di un procedimento archeologico.
Un altro piano, e qui il discorso si allarga ad altri eroi che hanno polarizzato l’interesse di Foucault, Rivière, Barbin,26 è per la divergenza in sé, la non conformità alle attese dell’altro. Qui il rimando è agli Scritti letterari,27 a un articolo su Georges Bataille apparso in Critique nel 1963, lo stesso anno del Raymond Roussel, sulla trasgressione. Testo complesso, stilisticamente la quintessenza dell’espressività di Foucault, Prefazione alla trasgressione muove dall’analisi del rapporto tra sessualità e linguaggio, e progressivamente evolve verso la contrapposizione tra il gioco di contraddizione e totalità della dialettica e quello tra trasgressione e limite. Trasgressione è pura affermatività che manifestandosi evidenzia il limite:
«La trasgressione porta il limite fino al limite del suo essere; lo induce a svegliarsi davanti alla sua imminente scomparsa, a ritrovarsi in ciò ch’essa esclude (più esattamente forse a riconoscersi per la prima volta), a provare la sua verità positiva nel movimento della sua stessa perdita».28
Tornando ai nostri eroi, tornando al significante autismo, la fascinazione per l’eccedente, per il trasgredente nella forma del linguaggio, riguarda l’illuminazione del limite, ciò che eccede è la misura della norma, ne evidenzia i confini, li mette in questione non per negazione, ma in ragione della positività, dell’insistenza, della propria non conformità.
«Forse un giorno essa [la trasgressione] apparirà altrettanto decisiva per la nostra cultura, altrettanto nascosta nel suo fondamento, quanto lo è stata fino a poco tempo fa, per il pensiero dialettico, l’esperienza della contraddizione. Malgrado tanti segni sparsi, il linguaggio è quasi tutto da far nascere laddove la trasgressione troverà il proprio spazio e il proprio essere illuminato».29
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Note:
2) I. Hacking, Façonner les gens. I resumée, Collège de France, Paris 2002 (disponibile sul sito del Collège de France), I. Hacking, Plasmare le persone. Corso al Collège del France (2004-2005), Traduzione integrale del corso disponibile sul sito del CdF a cura di Andrée Bella e Marco Casonato), Quattroventi, Macerata 2008, pp 65-67.
3) A. Broderick, The Autism Industrial Complex: How Branding, Marketing, and Capital Investment Turned Autism Into Big Business, Myers Education Press, Gorham, 2022.
4) Celeberrimo il caso dell’articolo di Andrew Wakefield ritirato da Lancet che proponeva una correlazione tra vaccino MPR e autismo. Rivelatosi una truffa, e Wakefield radiato dall’albo dei medici, non di meno resta come origine e matrice di tutto l’antivaccinismo successivo.
5) «School personnel describe these children as indistinguishable from their normal friends», O. I. Lovaas, Behavioral treatment and normal educational and intellectual functioning in young autistic children, «Journal of Consulting and Clinical Psychology», 55(1), 3-9, 1987, p. 8.
6) A. Ehrenberg, Le sujet cerebral, «Esprit», novembre 2004.
7) I. Hacking, Plasmare le persone, cit., pp. 99-136.
8) «Chiamiamo autismo il distacco dalla realtà insieme alla relativa o assoluta prevalenza della vita interiore. Autismo è all’incirca lo stesso di ciò che Freud chiama autoerotismo. Dato che per questo autore libido ed erotismo sono concetti molto più ampi che per altre scuole, la parola non si può utilizzare qui, senza suscitare malintesi». E. Bleuler, Dementia praecox o il gruppo delle schizofrenie, (1911). Traduzione integrale e note di Antonello Sciacchitano, Polimnia digital editions (.epub), Sacile 2017.
9) Per una genealogia dell’autismo rimando ai riferimenti individuati nel mio E. Valtellina, Tipi umani particolarmente strani, cit.
10) M. Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France 1973/74, Feltrinelli, Miilano 2003.
11) M. Foucault, Il potere psichiatrico, cit., p. 185.
12) Ivi, p.191.
13) Ivi, p. 197
14) M. Foucault, Gli anormali. Corso al Collège de France 1974/75, Feltrinelli, Milano 2000.
15) B.-A. Morel, Traité des dégénérescences physiques, intellectuelles et morales de l’espèce humaine et des causes qui produisent ces variétés maladives, Baillière, Paris 1857.
16) M. Nordau, Entartung, Verlag von Carl Dunder, Munich 1986.
17) In Europa, in Argentina, ancora per tutto il Novecento, la degenerazione ereditaria è rimasto un paradigma interpretativo di riferimento, con tutto il suo correlato eugenetico. Si veda G. Ferro, Degenerados, anormales y delincuentes. Gestos entre ciencia, polîtîca y representaciones en el caso argentino, Marea, Buenos Aires 2010.
18) S. Caponi, Loucos e degenerados: uma genealogia da psiquiatria ampliada, Fiocruz, Rio de Janeiro 2012.
19) E. Kraepelin, On the question of degeneration” [1908], History of Psychiatry, 18 2007, pp. 398-404.
20) S. Tremain (cur.), Foucault and the Government of Disability, University of Michigan Press, Ann Arbor 2005.
21) M. Foucault, Io Pierre Rivière, avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello… Un caso di parricidio nel xix secolo, Einaudi, Torino 1979.
22) M. Foucault, Raymond Roussel, Cappelli, Bologna 1978.
23) M. Foucault, Death and the labyrinth, London, Continuum, 2024, p. 185.
24) Ivi, p. 186
25) M. Foucault, Le cycle des grenouilles, «La Nouvelle Revue française», 10e année, n° 114, juin 1962, pp. 1159-1160; M. Foucault, Sept propos sur le septième ange, in J.-P Brisset, La Grammaire logique, Paris, Tchou, 1970, pp. 9-57.
26) H. Barbine, Una strana confessione. Memorie di un ermafrodito presentate da Michel Foucault, Einaudi, Torino 2007.
27) M. Foucault, Scritti letterari, Milano, Feltrinelli, 2021.
28) Ivi, p. 59.
29) Ivi, p. 58. Sul rapporto tra autismo, linguaggio e letteratura, stanno proliferando ricerche decisamente interessanti, in particolare di J. Miele Rodas, Autistic Disturbances: Theorizing Autism Poetics from the DSM to Robinson Crusoe, University of Michigan Press, Ann Arbor 2018, su questo rimando al mio recente E. Valtellina, “L’idiot de la famille, c’est moi”. Movimento della ‘neurodiversità’ e letteratura, «Elephant and Castle», N. 31, 2023.
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Immagine di copertina:
Rimozione della pietra della follia, copia antica di un’opera dispersa di Pieter Bruegel il vecchio, circa 1557, Musée Sandelin, Saint-Omer